CARMINE IORIO, BEDUINO SALERNITANO

il

Carmine Iorio, beduino salernitano

Djamal: «Papà, ho trovato la corda per l’aquilone!»
Carmine: «Ebbravo a Djamal, dai dai…»
D: «Tieni, me l’ha data la mamma.»
C: «È brava la mamma, eh? Ecco, ora la leghiamo qua sotto e vedi tu come vola in alto st’aquilone, eh!»
D: «Vola oltre il deserto?»
C: « E come no!»
D: «Vola fino al cielo?»
C: «Certo, e pure oltre.»
D: «E che ci sta oltre il cielo?»
C: «E che ci sta? Sopra il cielo ci sta il paradiso. Ecco fatto, l’aquilone è pronto. Guarda quant’è bell, eh?»
D: «È bellissimo. Grazie, papà! Adesso lo faccio volare.»

C: «Aspè vieni accà, fatti dare nu vas. Vai vai.»

* *

*

Capo delle guardie: «Tutti i prigionieri in branda! Spegnere le luci delle celle.»

C: «Pss. Guardia. Guardia! Uagliò, m’hai sentito? Oh, mi risponni?»
Secondino G. Senia: «Non pozzu parrari chi priggionieri.»
C: «E… Epperò l’hai appena fatto… Ah ah ah, t’aggia fregat. Come ti chiami? Io sono Carmine…»
SGS: «Muto t’ha stari. Si ti senti u capitano mi jetta pure a mia naa cella.»
C: «’O capitano nun ci sta. Stai sereno. A tieni n’a sigaretta? Ah? Di dove vieni, uagliò? Palermo? Ci ho azzeccato, vero?»
SGS: «Ma quale Palemmo? I Aci Castello, sugnu: provincia di Catania.»
C: «Sempre Sicilia è. Allò hai fatt poca strada per arrivare qua alla Libia. Ah ah ah… Scherzo. Bella terra la Sicilia, ah?»

SG: «Ca cietto, bedda…»
C: «Come ti chiami?»
SGS: «Senia. Giuseppe Senia.»
C: «O vero? Mannaggia a’morte! Tenevo un amico siciliano che si chiamava pure lui Giuseppe! Peppino, Peppino ‘o curt lo chiamavano.»
SGS: «Teh, fumatilla sta sigaretta.»
C: «Grazie, uagliò. Grazie assai.»
SGS: «M’haa fumo macari iu, altrimenti sentunu u fetu.»
C: «Famm’appiccià. Grazie. Capace che è l’ultima. Domani all’alba si chiudono i conti, uagliò. 18 dicembre 1928. Che cosa strana sapere prima il giorno giusto che muori, no? E magari ci sarai pure tu nel plotone d’esecuzione.»
SGS: «Speriamo di no. Nunn’aiu ammazzatu nuddu, fino a ora. Picchi ti minteru in galera?»
C: «Eh, una storia lunga uagliò.»
SGS: «E cuntammilla.»
C: «Sei sicuro che la vuoi sentire?»
SGS: «Nenti i fare iaiu. D’unni si, unni nascisti?»
C: «E vabbuò… Altavilla, vicino a Salerno. Napoli… Però più giù. Anno 1892. Battezzato a nome Carmine Immacolato Antonio Iorio, figlio del fu Francesco e di Carmela, di mestiere cavallari. A mio padre manco l’agg conosciuto. Ci stavamo solo io e mammà, a fare la fame. Stavamo in una casa in campagna, una stanza sola tutta affumicata e senza luce, assieme alle bestie, manco il pavimento ci stava. Solo un fuoco e ‘o liett ‘e paglia. I soldi non bastavano mai. Tant’è che quann tenevo 5 anni, per la disperazione, mammà quasi quasi…»

* *

*

Ciro Passiti: «Buongiorno.»

Mamma di Carmine: « Chi è?»

CP: «È permesso? Buongiorno, signò. Che siete la madre d’’o uaglione?»

MC: «Ma voi chi siete? È successo qualcosa?»

CP: «No, no. Non vi preoccupate. Mi chiamo Ciro Passiti. Cerco giovani e forti braccia!»

MC: «Siete qui per Carmine? Tiene cinque anni…»

CP: «Signora non vi dovete preoccupare, è un affare che ci guadagnano tutti. Specialmente vostro figlio. Sapete quanti ne ho fatti lavorare! E certi diventano perfino importanti. Guardate qui, vi faccio vedere un contratto eh… Sapete leggere?»

MC: «No.»

CP: «Va be’, a che serve. Ve lo leggo io allora, se permettete.»

MC: «Prego.»

PC: «Allora… Ecco qua: la madre concede a titolo di garzone il di lei figlio per condurlo a Parigi ad esercitarvi il mestiere di ambulante per mesi trenta. Il padrone si obbliga a corrispondere lire 8 per ciascun mese, cioè lire 144 dopo diciotto mesi, eccetera eccetera… Tutto chiaro? Volete che ve lo rispiego?»

MC: «No, è che io…»

CP: «Allora che fate? Me lo volete dare questo ragazzo. Mi hanno detto che non tenete niente per dargli da mangiare. È denutrito?»
MC: «I soldi non ci stanno, che devo fare io?»
CP: «E lo capisco, è per quello che… Ecco, prendete la penna…»
MC: «Carmine… M’hanno detto che cert’uni non tornato più, poi.»
CP: «Ascoltate signò. Seriamente. È un’occasione che non potete rinunciare. Se uno fa fatica a mangiare, come si fa? Eppoi i ragazzi sono svegli, si adeguano in fretta. Lì alla Francia è tutta un’altra musica. E se qualcuno non torna è perché s’è trovato bene, s’è sistemato. Magari diventa un signore che parla francese e sta in mezzo a tutti gli altri signori. Lì magari tiene un futuro. Non lo volete il bene del figlio vostro?»

MC: «Sì, certo.»

CP: «E allora signora, su, su prendete la penna.»

MC: «Qui?»

CP: «Sì, sì, mettete una bella croce. Che io mi piglio a vostro figlio. Brava signora non ve ne pentirete.»
MC: «Pariggi, ma è luntana assai?»
CP: «Eh, un poco… Dove sta il bambino che me lo vado a pigliare? Signò, nel frattempo mettete dentro una valigia qualche vestito e una coperta se il bambino li tiene. Va buò? Ma che fate? Il contratto, no… Non lo stracciate! Mannaggia a ‘maro…»
MC: «Che faccio io? Che cosa fate voi! Vi portate via i figli dalle madri. Carmine, vieni a mammà. Signore mio voi pure se tenete i quattrini a mio figlio non ve lo comprate. Avete capito?»

CP: «Ma signora ci guadagniamo tutti…»

MC: «Fuori, fuori da casa mia e non vi fate più vedere!»

CP: «Ma voi siete pazza, signò! Vabbuò… Salutamm, nnaccia a chi t’è m…»

* *

*

C: «Hai capito, uagliò. Quasi mi vendeva, mammà, per la fame. E mi voleva bene assai. Ma la miseria è brutta cosa.»

SGS: «Minchia, u sacciu. Pure a casa mia nenti c’era a manciari. E quannu crisci, o rubbi o ti fai soldato. E io soldato, mi fici. E ddopo, che avete fatto?»
C: «Ch’aggia fatt? Mi misi a faticare. Trenta volte al giorno alla fontanella, riempivo le fiasche e portavo l’acqua agli uomini che zappavano nei campi. Ogni tanto uno mi regalava un tozzo di pane, un uovo… E poi a faticare pure io nei campi. Nella spianata di Spartaco, come la chiamavano, che lì Spartaco aveva combattuto l’ultima battaglia dicevano i vecchi. Capito? Stavo dov’era stato il grande Spartaco. O sai chi era, Spartaco?
SGS: «Sì, no. Nun mu ricordu…»
C: «Eh, uno importante. E poi all’età tua mi sposai la prima volta. Lorenza si chiamava, o si chiama, pero, n’oo saccio. Ci conoscevamo da quando eravamo uaglioni e un giorno di primavera, un sabato, ci sposammo. Una vita fa… E tu a tieni a fidanzata.»
SGS: «Sì, l’aiu. Al paese mio. Rosalia si chiama.»
C: «È bella?»
SGS: «Bedda, è comu u suli , comu u mari. Bedda. M’a nzonnu di notte. Speriamo che ritorno presto. Già gli ho domandato di spusarimi…»
C: «Bravo. É bello avere una sposa. Io e Lorenzina stavamo bene, pure se non c’avevamo niente. Avevo pure costruito una casa ‘e legno per noi due, volevamo fare figli, ma poi… Arrivò la cartolina che dovevo partire soldato per la Libia.»

* *

*

Sergente Rosina: «Vi voglio nudi!»

C: «Mi ricordo la visita medica della leva, ommaronna…»

SR: «Siete sordi?»

C: «Quanti uaglioni… Tanti… E lì, per la prima volta…»

SR: «Non abbiamo tempo da perdere, spogliarsi!»

C: «Conobbi u cazz e sergente Rosina…»

SR: «Sono il sergente Rosina! E da oggi…»

C: «Le mutande le posso tenere, comandante?»

SR: «Sergente! E da oggi…»

C: «Le posso tenere, sergente?»

SR: «Signor sergente!»

C: «Le posso tenere, signor sergente?»

SR: «Per dio soldato, qual’è il tuo nome?»

C: «Iorio, Carmine.»

SR: «Iorio Carmine, mi ha già rotto i coglioni! Stai segnato! A quelli come voi facciamo passare la voglia di ridere, smidollati! Arruolabili, tutti. Così imparate anche un po’ di disciplina! Da domani sono cazzi vostri. Si parte alla volta della Libia!»

* *

*

C: «Cara Lorenzina, sono 2 anni ormai che manco da casa. 2 anni che sto in Libia. Qui spariamo contro i beduini che non si vogliono arrendere. La seconda divisione ha messo a ferro e fuoco Slonta! Avanziamo senza tregua! Il sergente Rosina non mi da mai licenza e perciò non posso tornare. Mi sembra di essere schiavo come il bove con l’aratro. E qui ci stanno solo sassi. Un abbraccio. Iorio Carmine.»
SR: «Il nuovo anno ci porterà la vittoria. Certo com’è certo che la nostra patria è la più bella.»
C: «Cara Lorenzina sono 3 anni che me ne sto alla libia. Me ne dovevo tornare indietro la settimana scorsa, ma dicono che ora scoppia la guerra mondiale e che noi dobbiamo restare tutti in battaglia non si sa ancora per quanto.»
SR: «Soldati, la Cirenaica e la Tripolitania furono nostre e di nuovo lo saranno, per Dio!»
C: «Qui fa caldo come nel forno e la divisa è di lana e non ce la possiamo mai togliere. Un abbraccio. Iorio Carmine.»
SR: «Ci prenderemo quello che ci spetta! Le ricchezze di questa barbara terra ci appartengono di diritto! Viva l’Italia!»

* *

*

C: «Ma quali ricchezze? In Italia i giornali scrivevano che nella Cirenaica c’erano gli ulivi, le vigne coi grappoli da 3 chili… Ma quale vigne, quale ulivi? Ma quale? Chist è ‘o deserto, bello, ma sempre deserto era. E quando è scoppiata la guerra mondiale, quel poco che arrivava da mangiare pure marcio, era.»

SGS: «Picchì, ora che la guerra mondiale è finita, u manciari megghiu ie’?»

C: «Pecchè, Mussolini manco da mangiare vi manda? Fosse che si mangia tutto iss, che nelle foto bello in carne pare… Ah ah ah.»
SGS: «No, iddu i cosi bboni i fici prima della guerra. Ma ora nenti nni arriva ‘ccà. Ci abbandonò. E se provi a lamentariti è peggio. Nenti si pò diri, chi u capitano nella cella di rigore, ti butta.»
C: «E o saccio, uagliò, o saccio buon. E proprio dalla cella di rigore che la vita mia ha preso una strada che proprio non mi potevo aspettare.»

SGS: «Vero è?»
C: «Quand’è vera a Madonna o’ Carmine. Era la notte del 12 luglio 1916 e mi avevano messo di sentinella all’accampamento di Tocra. Avevo appena dato il cambio, che guarda un po’, si presenta il sergente Rosina.»

* *

*

SR: «Altolà soldato Iorio. Fatti vedere un po’.»

C: «Sissignore.»

SR: «Bravo, bravo… Cravatta allentata…»

C: «Scusi, signor sergente…»

SR: «Casco d’ordinanza lasciato da qualche parte…»

C: «Solo un attimo, signor sergente…»

SR: «Camicia sbottonata… Niente canottiera…»

C: «Morivo di caldo, signor sergente…»

SR: «Scarponi luridi… Stai punito. Corvè. Adesso ti metti la canottiera e mi spazzi il piazzale dell’alzabandiera.»

C: «Signor sergente…»

SR: «Tutto.»

C: «Non dormo da…»

SR: «Anche gli angoli.»

C: «Ci saranno cinquanta gradi…»

SR: «Con la scopa di saggina…»

C: «Ma…»

SR: «Fino al tramonto. Taci!»

* *

*

C: «O’ sergente Rosina… N’aggio mai odiato a nisciun come a chillu piezz ‘e merd… Insomma, uagliò, al tramonto ci sono arrivato muorto, e quann ho visto il rosso del mare e il cielo rosso pure, mi sono detto “Carmine, questa sera devi festeggiare”. Mi comprai un fiasco di vino da un soldato mio compare e me lo scolai tutto solo, alla faccia di Rosina, di Giolitti e di quel figlio d’indrocchia di Vittorio Emanuele… Bevevo e pisciavo, pisciavo e bevevo e intanto che uscivo dalla latrina e m’abbottonavo i pantaloni, chi spunta da dietro l’angolo? Chillu scurnacchiat i’ Sciaboletta, lo spione, il confidente preferito del sergente Rosina.»

* *

*

Sciaboletta: «Aho, anvedi chi c’è sta! Me dicono che oggi nun t’ha detto tanto bbene.»

C: «No, Sciabolè…»
Sc: «A Napoli, perché non ci ho sai che deve d’abbottonare a divisa? Er sergente Rosina…»

C: «Fammi passare, Sciabolè…»

Sc: «Aho, ma che c’hai. Stai de cattivo umore?»

C: «Potrebbe pure essere.»

Sc: «Ma che te sei mbriacato?»

C: «T’aggia dett di fart i cazz tuoi.»

SC: «Io me faccio i cazzi de chi me pare a me, me faccio i cazzi tua e pure quelli de tu nonno.»

C: «Ma che vai dicendo, Sciabolè?»

Sc: «Che me pari n’accattone!»

C: «Vatténne va’… Vatténne…»
Sc: «A Lorenzina er tipo trucido je va a faciolo.»

(Carmine lo colpisce.)

C: «M’aggia scassat ‘o cazz! I’ t’ammazo, sciabbolè!»

Sc: «Aho, li mortacci…»

C: «Nun ne pozz chiù!»

Sc: «Aho, fermete! Oh? Aiuto! Aiuto!»

C: «T’accir, t’aggia accirere!»
SR: «Fante Iorio, fermo do ve sei. Io ti stronco. Hai capito? Ti stronco! Sei agli arresti! Caporale, sbattilo in cella di rigore. Niente acqua. Il soldato Iorio deve riflettere. Molto a lungo.»

C: «La prigione era una casupola fatta di lamiere. Senza aperture. Dopo la giornata col sole del deserto a picco, l’aria dentro era rovente. Appena chiusero la porta vomitai per il caldo. Non riuscivo manco a respirare e cominciai a sudare, sudavo, sudavo. Ero troppo ubriaco, mi sentivo fuori di me. Là dentro era buio buio e io cominciai a stare male, male veramente. Allora cominciai a sbattere contro le lamiere, ero in gabbia dentro un forno capisci uagliò? E sbattevo e sbattevo, coi pugni, coi calci, con la spalla. Volevo morire. Poi a un tratto stavo all’aperto, ubriaco fracico. Forse avevo sfondato la porta a forza di sbattere. Mi ricordo le stelle e volevo arrivare al mare… Ma però andavo alla cieca. Nessuno mi vide, manco le guardie, ero un fantasma. Vagai nel deserto finché avevo forze e poi a un certo punto, il buio.»

Ribelle beduino 1: «’Ila al-amam wa-nahn nushatir

Ribelle beduino 2: «Hasanan

C: (Stordito) «Che dici?»
Rb1: «Tu stupido. Saʿidu-ni

C: «Ma voi chi siete?»

Rb1: «Tu troppo vino. Stupido. Tu stupido.»

C: «O maronn a capa.» 

Rb1: «Maʿan. Bevi acqua.»

(Carmine si riaddormenta.) 

Rb2: «Faqid al-waʿi. Na’ti al-Sanusi wa-qaal ‘annah taqarrar

* *

*

(Carmine si sveglia di soprassalto.)

C: «Oh! Chi è?»
Rb1: «Buongiorno.»

C: «Chi sei? Dove siamo?»

Rb1: «Siamo a Agedabia. Sud di Bengasi. Patria e residenza di sua grazia sidi Mohammed Idris Senussi, capo di quelli che voi italiani chiamate “ribelli”.»

C: «E che ci faccio qui?» 

Rb1: «Tu prigioniero. Abbiamo trovato te in territorio senussita. Tu spia.»

C: «Che io? No, te lo assicuro. Te lo giuro, non sono una spia.»

Rb1: «Tu stavi in nostro territorio e sei italiano.»

C: «Ma non lo so come ci sono finito. Io non ero in me. Lasciami andare, ti supplico.»

Rb1: «Questo è impossibile.»

C: «Ti giuro, non dirò niente, te lo giuro sulla Madonna, che io possa…»

Rb1: «Dovevi pensare prima di venire a fare la guerra.»

C: «Ma che volete farmi?»

Rb1: «Sono venuto per dire che al tramonto sarai impiccato in piazza del mercato, ad Allah piacendo.»
C: «Ma come? Impiccato? Ve l’ho detto, non sono una spia, ero ubriaco e…»
Rb1: «Così è deciso.»

C: «O maronn, o maronn.»

Rb1: «Ma prima di tua morte avrai grande onore: sarai interrogato dal gran senusso in persona.»
C: «O maronn.»
Rb1: «Ho portato caffè e zuppa perché tu puoi mangiare.»

C: «Ave o Maria piena di grazia…»

Rb1: «Lascio tutto qui.»

* *

*

C: «Peppì, mi sentivo come se fussi già dintr’a bara. Tenevo 24 anni e pregavo la Vergine del Carmine, ma mi credevo che quella era la fine. Era l’alba, fuori si sentivano i primi rumori del mercato, sembrava quasi di stare al paese mio, quando i pescatori arrivavano piano piano a mettere le bancarelle. E poi mi vennero a pigliare e mi portarono dal principe in persona.»

 
* *

*

Gran senusso: «E così tu saresti il prigioniero italiano…»

C: «Sissignore, Carmine Iorio, per servirla.»

GS: «E mi hanno detto che sei una spia. Ci sono altri come te?»

C: «Ecco veramente io non sacc niente di sta cosa della spia.»

GS: «A questo punto negare è inutile.»

C: «Ma io nun aggio fatto niente e’ male. Ero ubriaco…»

GS: «Capisco. Portatelo via. Fermatevi! Cos’è il disegno, lì sulla manica della divisa?»

C: «Che? A chist… Un fucile. Tiratore scelto.»

GS: «Buona mira?»

C: «Buona.»

GS: «Quanto buona?»

C: «Buona.»

GS: «Portate un fucile. Adesso vediamo quanto buona. Prendi. Lo riconosci?»

C: «Si capisce. È il nostro. Moschetto Carcano modello 91. Caricatore interno Mannlicher da sei. Alzo mobile e mira fissa. Dove l’avete preso?»

GS: «Ne abbiamo molti. Vedi ramo su cima di quell’albero?»

C: «Sissignore.» 

GS: «Vediamo se riesci a colpirlo.»

C: «E vediamo. Vediamo…»

GS: «Ahsanta! Bravo! Bravo. Fortuna?»

C: «No, no, quale fortuna. Io sacc sparà buono.»

GS: «Se davvero sei bravo tiratore forse puoi essere utile vivo. Ma voglio prima una prova di tua fedeltà. Devi togliere a me un pensiero.»

C: «Che pensiero?»

GS: «Un uomo.»

C: «Chi?»

GS: «Il nome non ha importanza. È un nemico.»

C: «Italiano?»

GS: «No. Non è italiano. Ti sarà dato un fucile e sarai guidato fino al luogo. Domani.»

C: «Come volete voi.»

* *

*

SGS: «Minchia, ma veramente? Futtunatu fusti! Quelli barbari sono. Io mi pensavo che ti torturavano e t’ammazzavano subbito.»

C: «A me non mi toccarono, però mi ricordo che pensai: n’atra vota? La vita mia dipende n’atra vota dal fatto che aggia ammazzà un altro uomo o m’ammazzano a me.»
SGS: «Minchia Carmine, quelli selvaggi sono. Il duce l’ha detto, tutti lo dicono. Ti volevano impiccare.»
C: «Ma pecchè gli italiani non fanno uguale coi prigionieri degli altri?»
SGS: «Ma quelli beduini sono.»
C: «Uagliò siamo venuti noi qui, a casa loro, a sparargli, e non loro a casa nostra. Se ti spaccavano la casa al paese tu ti incazzavi?»

SGS: «Minchia. Ma chi ci trase?»

C: «Peppì, t’aggia mparà e t’aggia perdere…»

SGS: «Iò ni sacciu sti cosi. Ma poi, ciù facisti u serviziu o senussu?»

C: «Sissignore. Era un arabo. Mi portarono in un oasi e io gli sparai.»

* *

*

GS: «Bene, bene. Sono molto soddisfatto del tuo talento. E della tua intelligenza. Da questo momento non sei più un nostro prigioniero.»

C: «Come dite, gran senusso? Non sono più prigioniero?»

GS: «No. Da questo momento tu sei un ospite.»

C: «Un ospite?»

GS: «Un mio gradito ospite.»

C: «Vi ringrazio sua maestà.»

GS: «D’altra parte devi renderti conto che se rinunci a comportarti come tale, se pensi di tradirci non avrai vita facile, o meglio, non avrai una vita.»

C: «No principe, io sono uomo di parola.»

GS: «Molto bene.»

C: «Posso considerarmi amico?»

GS: «Certo Carmine. Da oggi avrai nuovi amici, un alloggio e cosa più importante… La possibilità di farti una nuova vita.»

C: «Voi siete molto gentile principe. A me mi fate onore a considerarmi amico e io questo non lo dimenticherò. Ma io vorrei chiedervi una cortesia.»

GS: «Dimmi pure.»

C: «Io non vorrei essere costretto, né ora né mai, a sparare ai miei.»

GS: «Nessuno ti farà questo obbligo, hai la mia parola.»

C: «Grazie assai, principe.»

GS: «Hai dimostrato di essere un uomo di parola e, per di più, conosci i fucili. Ti troverò lavoro in manutenzione di nostre armi.»

C: «Sua signoria… È un onore… Io non lo so se sono in grado.»

GS: «Voglio darti fiducia. Un nuovo inizio. Accetta, non darmi questo dispiacere.»

C: «Io… Accetto e vi ringrazio. Col cuore.»

GS: «Adesso ritirati e usa la notte per riflettere. Oggi sono avvenuti molti cambiamenti nella tua vita.»

C: «O saccio… Lo so, principe.»

* *

*

SGS: «Matri bedda, Carminuzzo! Traditore, diventasti.»
C: «Sì, disertore e traditore. Ma t’accia dicere ‘na cosa uagliò: quanno pensavo al sergente Rosina che faceva la sua risata cattiva e mi metteva in punizione e poi pensavo alle parole del principe “mio gradito ospite”.»
SGS: «E alla famigghia non ci pensasti? A to matri? A to mugghieri? O paisi?»
C: «E ci pensai sì, uagliò. Ma che dovevo fare? Tutta la vita a faticare, a sentirmi una pezza da piedi, una carne da macello come hai detto tu, e ora “amico del principe”. Allò è qui, con gli arabi che devo stare! Tant’è che quando la sera andai a dormire, mi pensavo di avere un rimorso di coscienza, che mi vergognavo di tradire l’esercito italiano e invece mi addormentai buono buono e sereno. Come quando mammà da piccolo mi metteva nel letto, mi rimboccava la coperta e mi cantava la ninna nanna. Oh! La ninna, nunnarella. I ‘sto figlio mio se fa suonne belle. I se fa li suonne che se facette Maria cu ‘nocchie chiusi e cu ‘a mente a Dio. I Cu l’uocchie chiusi e cu ‘a mente ai santi.»

* *

*

SR: «Rapporto, soldato Rossi.»
Rossi: «Sissignore, sergente Rosina! Il 79° plotone di fanteria ha incrociato un gruppo di ribelli durante un pattugliamento, e…»
SR: «Allora?»

R: «Cose irriferibili.»

SR: «Parla, non mi fare perdere tempo.»

R: «Si è sparato qualche colpo, ma i ribelli erano coperti da una collina. Il fatto è che mentre stavamo ripiegando abbiamo sentito la voce di un italiano che gridava verso di noi.»
SR: «Italiano? E che diceva?»

R: «Sicuro che lo vuole sapere?»

SR: «Scherzi col fuoco soldato, certo che sono sicuro.»

R: «Diceva: “Stateve accort!”. E pure altro…»

SR: «Cos’altro?»

R: «A Rosina ditegli che è un fetente e nu uapp ‘e cartone!»

SR: «Cosa dici?»

R: «Era di certo la voce del soldato Iorio Carmine, signore.»

SR: «Ah, il maledetto. È passato al nemico eh! Denunciarlo alla corte marziale! Subito per Dio!»

 * *

*

GS: «Carmine, dammi le cesoie.»
C: «Quali, queste?» 

GS: «Sì. Ecco, vedi? Le rose devi potare con delicatezza. Tagliare rami secchi poco sopra a gemme, così nuovi fiori possono nascere.»
C: «Che bello giardino che tenete, principe. Ne vorrei fare uno pure io, davanti a casa.»
GS: «Da quanto tempo stai qui con noi, ormai?»
C: «Quasi sei mesi.»
GS: «E come ti trovi?»
C: «Bene, benissimo, signor principe. La casa che mi avete trovato è bella assai, mi sono fatto gli amici e poi…»
GS: «Avanti, parla…»

C: «Ecco… Il fatto è… Che agg’ vista a una ragazza al pozzo un mese fa. Teneva due occhi neri neri, fondi fondi. Sembrava una visione. Stava in mezzo alle altre ragazze, io me ne stavo in disparte e facevo finta di pulire la canna del fucile, quando tutt’a un tratto lei si è chinata per pigliare il secchio, il velo gli è cascato e mi ha guardato. Quando si è accorta che la guardavo pure io si è subito ritratta. Insomma, principe, da quel momento io non tengo più pace.»

GS: «Devi guardarti da lei se non hai intenzioni.»

C: «Io tengo intenzioni, ma non le conosco alle donne di qua.»

GS: «Carmine, le donne sono una forza inarrestabile. Sono il sale del mondo.»

C: «Il sale?»

GS: «Sono l’inizio, il principio di ogni cosa.»

C: «Veramente?»

GS: «Esse sono una veste per gli uomini e gli uomini sono una una veste per loro…»

C: «Che vuol dire?»

GS: «È il Corano, vuol dire che ognuno completa e protegge l’altro.»

C: «Una veste…»

GS: «La sera delle nozze la sposa danza per il marito, mentre le sue amiche la aiutano a togliersi, piano piano, piano piano, un velo alla volta, finché è pronta per adagiarsi con lui…»

C: «Veramente?»

GS: «Certe donne sanno usare certe sete morbide e odorose per legare un uomo come sette catene di ferro.»

C: «O maronn.»

GS: «E poi… La mirra!»

C: «Che d’è?»

GS: «È una corteccia da cui si estrae un profumo… Così che il marito nell’oscurità della prima notte di nozze può trovare, con tutti i sensi, ma prima di tutto con l’olfatto, il percorso che porta allo scrigno della felicità.»

C: «O Madonna o’ Carmine. Aiutatemi Principe, io devo incontrarla. Se no ammattisco! Aiutatemi per favore!»

GS: «Ma attenzione Carmine, chi insulta una donna onesta sarà maledetto! Questo dice Corano.»

C: «Ma io mai lo farei.»

GS: «So chi è la ragazza.»

C: «E come fate a saperlo? O maronna che vergogna…»

GS: «Sono informato bene sulla mia gente. Non hai da preoccuparti, Carmine. Teber è il suo nome. Ti farò incontrare col padre. Lui deciderà se sei degno di sua figlia.»

* *

*

C: «Buongiorno, è permesso?»
Padre di Teber: «Tu sei l’italiano?»

C: «Si sono io, piacere di fare la vostra conoscenza.»

PT: «Siedi.»

C: «Grazie.»

PT: «Prendi il tè.»

C: «Molto gentile, grazie assai.»

PT: «Perché hai chiesto di incontrarmi?»

C: «Ecco, io… Sono innamorato di vostra figlia e sono venuto a chiedere a voi la sua mano. Lavoro per il principe e ho un buono stipendio. Pulisco i fucili e mi occupo della manutenzione. Sono un uomo di parola e a vostra figlia non mancherebbe mai niente. Ve l’assicuro. La rispetterò sempre. Avete la mia parola.»

PT: «Hai visto che sono zoppo?»

C: «Sissignore.»

PT: «Sai come è successo?»

C: «In effetti no.»

PT: «Mi sono distratto, un attimo soltanto, e un dromedario in calore che stavo strinando mi ha fatto questo dono.»

C: «Sono spiacente assai.»

PT: «Non ti fidare mai di un dromedario quando è in calore. È Allah che ce l’ha dato e non c’è “bedu” che non debba la vita a un dromedario, ma quando puzza troppo perché è in calore, stagli lontano: porta guai.»

C: «Me lo ricorderò.»

PT: «Mia madre, quando voleva farmi stare buono, mi diceva: “Guarda che ti butto in mare”. Il mare è traditore. Il mare è infido. I beduini non amano il mare. E tu sei venuto dal mare. Mi dicono però che parli ai cavalli. Mi piacciono gli uomini che sanno parlare ai cavalli. Perciò tu e Teber avete il mio permesso di sposarvi.»

* *

*

C: «Che bellezza, ero l’uomo più felice di questo mondo.»
SGS: «Michia, ci criru. Bedda era?»
C: «A femmina chiù bella ro munn.»
SGS: «Pure si era niura.»
C: «Ma che me ne futte amme se era nera.»
SGS: «Quannu tornu o paisi, mi sposo macari iu a Rosalia. Mi vogghiu spusari cu nnu vestitu bbonu, che tutti i paesani miei invidia hannu aviri. E u matrimoniu com’u fannu ‘ccà?»
C: «Bello, bellisimo. Teber arrivò nel baldacchino in copp’ a un dromedario tutto bardato di rosso e, alla fine, ci fu un carosello di cavalieri sopra ai puledri colle gualdrappe blu dorate e perfino i fuochi artificiali. Mi ricordo che pensavo: mi vedessero ora, i miei paesani, il sergente Rosina. Carmine Iorio trattato come un pascià: Carmine Pascià!»

Teber: «Vieni marito mio, stai tra le mie braccia. Tu sei il sole e le stelle. Sei lo zenith della mia esistenza. Il miele che guarisce. Il colore che ammalia. Il profumo del vento. Il gioco di amore. Sei fuoco e ghiaccio. Sei il mio passato, il futuro, il presente. Sei il mio fianco, il mio respiro.»

C: «Felici eravamo, come nessuno mai prima. Allah e la Madonna del Carmine ci avevano benedetti. Teber era ancora più bella e più dolce e più premurosa di quanto potevo sognare. Mi diede due figli bellissimi, con gli occhi uguali alla madre. La vita era fatta di piccole cose, passavamo i pomeriggi insieme a mangiare dolcetti e fare volare gli aquiloni. Anni bellissimi, uagliò, anni meravigliosi… E poi…»
SGS: «E poi? Chi succiriu?»

C: «C’a successo? E come non lo sai? Arrivò Mussolini, un’altra volta a fare la guerra alla Libia.»
SGS: «Quale guerra? Chista la “riconquista fascista della Tripolitania e della Cirenaica” iè.»

C: «Ma quale riconquista? Tu riconquisti una cosa che era tua, ma sto paese, sta gente, st’aria , non è mai stata dell’Italia e mai lo sarà. Ancora credi a sta storia della riconquista, sveglia Peppì.»
SGS: «Ma allora che minchia facemu ‘ccà?»
C: «Tu stai qua per fare belli loro. Allo scoppato, al re, ai sergenti Rosina, all’anima di chi glie mmuort. Loro se ne fottono di noi Peppì. Questi vogliono il potere, il posto al sole, vogliono tutto… E noi muort ‘e fame andiamo ad ammazzare alla povera gente e a farci ammazzare. Se non hai una colonia non sei nisciuno. Accussì ragionano. É ‘na vergogna.» 

SGS: «Allura nni stannu futtennu? Ma chi putia fari iu. U sai comu iè u fattu. Se non vai tu alla leva, ti venunu a pigghiari. Al carcere ti mettono. Chi avia a ffari? Andare sopra la montagna?»

C: «Nno’ saccio, uagliò. Pure io m’aggia fatt suldate, ero troppo ignorante, nun sapevo niente, manco arò stava a Libia. E tutti ricevano: i beduini li dobbiamo sottomettere, sono inferiori, sono cani. Ma quando stai all’altra parte…»

* *

*

GS: «Cosa ti pesa sul cuore, Carmine?» 

C: «Io mi vergogno signor principe.»

GS: «E di cosa?»

C: «Di quello che stanno facendo gli italiani alla vostra terra signor principe. In questi mesi ho sentito i racconti dei bombardamenti e i gas tossici che hanno fatto strage. A Giarabub, Misurata, Agedabia. Così tanti civili. E sui campi di concentramento dove ci portano alle persone che non hanno fatto niente.»

GS: «E tu che colpa ne hai?»

C: «Io ero come loro. Però non sapevo niente.»

GS: «Come sono loro?»

C: «Feroci.»

GS: «Tu non hai colpa per i crimini che altri stanno commettendo. Se hai il cuore pesante è perché la mia gente ti sta a cuore. La nostra gente.»

C: «Io vi chiedo il permesso di partecipare alla resistenza. Di andare con le truppe che stanno con Omar al-Mukhtār. Pure se non sparo agli italiani, una mano la posso dare.»

GS: «Amico mio, sai che se facessero dei rastrellamenti, se cadessi nello loro mani, tu rischieresti più di chiunque altro?»

C: «Si signor principe, sono un disertore ‘o sacc.»
GS: «Se questo è il tuo volere, hai il mio permesso.»
C: «Grazie, grazie assai. E avrei un’altra richiesta sola.»
GS: «Quale?»
C: «Vorrei cambiarmi il nome.»
GS: «Come vorresti essere chiamato?»
C: «Yussuf.»

* *

*

Amir: «Vedi niente, Yussuf?
C: «No, niente. Statti attento, Amir, stai dietro alla roccia, sennò ti vedono. Sicuro che passeranno di qua?»
A: «Non c’è altra strada per il villaggio. Questa strada l’hanno fatta proprio gli italiani, sai?»
C: «E’ una ciofèca. In quanti saranno?»
A: «Questo non so. Se abbiamo fortuna, pochi.»

C: «Ascolta, se vengono da nord sono quelli di Badoglio della seconda divisione e sono armati meglio.»

A: «L’altra volta venivano da ovest.»

C: «Allora sono quelli di quella mmerda di Graziani. Sono più cattivi.»

A: «Sì, adesso sono loro che vengono qui per le deportazioni.»

C: «A quale campo di concentramento li portano? El Agheila?»

A: «Soluch.»

C: «Hai mandato un paio di vedette sulla collina là di fronte?»
A: «Sì, tutti in posizione.»
C: «Mannaggi a mmuorte, Ecch e, li vedo, Amir!»
A: «Quanti?»
C: «Pochi, 1… 2… 3… Fucilieri a cavallo e altri 2 sui dromedari.»
A: «Kamal, maʿdhir, ya’tun ‘ila hunaa! Qariban

Ribelli beduini: «Nahn huna

A: «Tuwaqqiyah

C: «Pronto, io sparo in alto però.»
A: «Noi li prendiamo di dietro. Quando faccio segnale con fazzoletto rosso, tu spara sempre. Capito?»
C: «Capito, capito. Fazzulett rosso. Spacchiamogli ‘e corna.»
A: (Andiamo!) «Daʿna nadhhab! Bi-surʿah! Barrah

C: (Da solo) «Madonnina mia del Carmine, riportateli a casa a sti fetenti. Faglielo capire madonnina mia, riportateli all’Italia, alle case loro, ai figli loro. Madonnina mia io non sono niente, ma ti prego ascolta a me… Ave o Maria…»

* *

*

GS: «Allora, Yussuf?»
C: «Signor principe vengo a fare rapporto. I soldati italiani erano cinque. Li abbiamo intercettati sulla strada per il villaggio. Due soldati sui cavalli sono stati colpiti e sono… Sono morti. Gli altri tre sono scappati.»
GS: «E i nostri?»
C: «I nostri sono vivi. Solo qualche graffio.»
GS: «Vi ho fatto preparare acqua calda e cibo.»
C: «Grazie signor principe, se non vi dispiace vorrei andare a casa, sono giorni che manco…»
GS: «Aspetta. Avvicinati.»
C: «Certo, signor principe. Eccomi. Dite pure.»
GS: «Mentre eri a combattere è successa una cosa.»
C: «C’a success, principe? Non mi fate stare in pena.»
GS: «Due soldati italiani sono venuti nella zona della tua casa, questa mattina e…»
C: « O’maronna, i bambini!»
GS: «I bambini stanno bene. Erano a giocare fuori, si sono nascosti nel pozzo.»
C: «Teber! Ossignore, Teber, o’vero? Me l’hanno ammazzata?»
GS: «No, Carmine.»
C: «E allora?»
GS: «L’hanno presa, fatta prigioniera.»
C: «No! Schifosi, porci… Vi scanno a tutti! Solo a lei?»
GS: «Sì.»
C: «E perché?»
GS: «Sapevano dove abitava. Forse uno del villaggio ha fatto la spia.»
C: «Ma come? St’infame, se lo trovo l’ammazzo! Dove l’hanno portata?»
GS: «Questo non lo sappiamo.»
C: «Mannaggia a me, mannaggia. Mi porto la sventura appresso. Moglie mia.»
GS: «Devi farti coraggio, Yussuf. La troveremo.»
C: «Certo, signor principe. Scusate.»

* *

*

SGS: «Minchia, che infami! Macari iddi ll’hannu i tradituri! Nel senso, non volevo dire che tu, Carmine, sei traditore, comu pozzu diri, tu sei traditore ma nun mi pari cattivo, non mi riesco a spiegare…»
C: «Ti spieghi, ti spieghi uagliò. Pure io so traditore, ma n’atra vota la differenza ci sta. E tu la capisci.»
SGS: «Sa comu t’incazzasti quando sapisti c’a a pigghiarunu priggioniera…»
C: «No, manco il tempo di incazzarmi, tenevo. L’unica cosa che dovevo fare era ripigliarmela, Peppì. La madre dei miei figli, mia moglie, la donna chiù bella ro munn.»
SGS: «E comu facisti?»
C: «Portai i piccierielli a casa del nonno e li salutai col groppo alla gola, radunai un gruppo di gente pronta, combattenti di Omar al-Mukhtār, ualioni ch’i ppalle, e ci incamminammo in direzione delle zone sotto il controllo italiano. L’andammo a cercare. Battemmo un sacco di oasi ma non trovavamo mai una notizia di lei, niente finché…»

* *

*

A: «Quella è l’oasi di Gicherra. Siamo quasi arrivati. Vedrai che qui sanno qualcosa.»

C: «Non so più a chi pregare uagliò. Speriamo bene.» 

A: «Stiamo in guardia però, poco fuori dal villaggio c’è soldati italiani.»

C: «Ossaccio, facciamo qualche domanda e poi ci allontaniamo. Occhi aperti uagliò.»

A: «Troviamo il maestro dell’acqua. Se qualcuno passa di qui lui lo deve sapere.»

C: «Lo conosci?»

A: «Si, è mio cugino.»

C: «Ci possiamo fidare?»

A: «Si. Lui gli italiani li odia, non farebbe mai la spia.» 

C: «Meglio accussì. Dove lo troviamo?»

A: «Alla piazza del suq. Non ha più capelli ed è molto alto.»

C: «Se non l’ha vista ripartiamo subito verso nord.»

A: «Yussuf non ci fermiamo a riposare? Sono giorni che viaggiamo.»

C: «Finché non la troviamo io non mi fermo. Non mi posso fermare. Ma vi capisco, io c’ho il fuoco perché sto pazzo, voi fermatevi e domani mi raggiungete.»

A: «No Yussuf, tu sei mio fratello. Io lo dicevo per il tuo bene, ma dove vai tu veniamo noi.»

C: «Grazie.»

A: «Ecco il suq. E quello è cugino Ahmad!»
C: «Allò, io e Amir andiamo a parlarci , intanto voi…»
Ribelle beduino: «Attenti, c’è soldato italiano con lui!»

C: «Vado a vedere. Voi aspettate qui.»
Sciaboletta: «Aò, me stai a rompe li cojoni, a’capito?»

Ahmad: «Io ho solo questo dromedario.» 

Sc: «A negro! Lascia e’ briglie!»

Ahmad: «È tutto per me.» 

Sc: «Cazzi tua.»

Ahmad: «Ti prego.»

Sc: «E lascia per Dio, negro! T’ammazzo come un cane. V’ammazzo a tutti. Avete capito? Tutti. Quant’è vero Dio, musi neri de mmerda. Siete animali e basta. A ferro e fuoco! Ferro e fuoco per Dio! E lascia sto dromedario.»

C: «Statti fermo, Sciabolè.» 

Sc: «E tu chi cazzo te credi d’esse, co sto cortello?»

C: «Non ti ricordi?» 

Sc: «Chi te l’ha detto er nome mio?»

C: «Sciabolè, statti fermo dove sei.»

Sc: «Anvedi… Che colpo de culo. Napoli! Carmine Iorio er disertore. Ammazza come te sei ridotto.»

C: «Dove sta mia moglie?»

Sc: « E perchè o’ dovrei sapè?»
C: «Dimmi dov’è o t’ammazzo, quant’è vera a’maronna.»
Sc: «I camerati stanno qua, proprio qua dietro. Se me metto a urlà te se n’culano.» 

C: «Dov’è Teber? Dove l’avete portata?»

Sc: «Ma che te pensi, che me fai paura? Sei n’traditore e bbasta.»

C: «Dove sta mia moglie!»

Sc: «Se starà a ingroppà quarche d’uno.»

C: «Statt zitt, o ti squarto, sciabolè!»

Sc: «Ah ah ah. E perché, nun ci ho sai che qua so tutte mignotte, ste negre demm…»

(Carmine lo accoltella.) 

A: «Carmine che hai fatto?»

C: «Giustizia.»

A: «Arrivano! Via tutti, via!»

Ahmad: «Sharika! Sono troppi…»

* *

*

Voce off: «Sera diciassette corrente in oasi Gicherra STOP. Dopo tafferuglio per indigeno che tentava furto dromedario camerata detto Sciaboletta mortalmente ferito STOP. Subito sopraggiunto contingente e catturato tre ribelli STOP. Tra loro tale Yussuf STOP. Trattasi disertore Carmine Iorio STOP. Riservomi comunicare esito interrogatorio STOP.»

* *

*

SR: «Eccolo qua, il disertore Iorio. Ti ricordi di me?»

C: «Difficile scordarmi.»

SR: «Ecco , bravo… Che mona. Ma come ti sei conciato? Come un arabo. Senti che puzza. Hai combinato un bel casino. Lo sai che perfino il nostro duce s’è interessato a te?»
C: «Addirittura?»
SR: «Stai zitto! Sta arrivando il tribunale volante per un cafone come te, povero in canna, contadino ignorante. Ora sei diventato importante eh? È cosi? E dimmi un po’ ti credi importante?»

C: «No.»

SR: «Non ho sentito!»

C: «No.»

SR: «E infatti non sei un cazzo! Non sei nessuno, hai capito soldato semplice Iorio? Hai capito?»

C: «Come preferite.»

SR: «Devi dire sissignore, sergente Rosina!»

C: «Ma quale signore?» 

SR: «Quanti italiani hai ammazzato, oltre a Sciaboletta?»

C: «Dov’è mia moglie?»

SR: «Quanti? Traditore figlio di un cane!»
C: «Cosa avete fatto a Teber?»
SR: «Ue sentilo. Ah ah ah ah. Sei uno spasso. Se ci pensi bene lo sai. Lo sai che è colpa tua, sì? L’abbiamo presa per farti uscire allo scoperto… E tu ci sei cascato come un mona. È colpa tua hai capito Carmine? Però ci siamo divertiti con lei, quindi ti devo ringraziare a nome di tutto il reggimento…»

C: «Non ti permettere…»

SR: «Perché se no? Lo sai come sono queste negre, sono cagne in calore. E noi come una cagna in calore l’abbiamo trattata. Ma non è durata molto.»

(Carmine gli da una testata.) 

SR: «Dio ca… Bastardo!»
C: «Chi ferisce una donna onesta sarà maledetto!»
SR: «Mi ha rotto il naso questo figlio di puttana! Urlava come una cagna prima di crepare, hai capito!»
C: «Pagherete per quello che le avete fatto! Non siete uomini. Non siete uomini.»
SR: «Toglietemelo dai coglioni, sbattetelo in isolamento! Cristo, il naso, bastardo!»

C: «Teber! Mi dispiace, mi dispiace!»

* *

*

Presidente del Tribunale Maletti: «Ammette l’imputato Iorio il crimine di avere disertato in data 13 luglio 1916 dal 79° reggimento fanteria di stanza a Tocra?»

C: «Sì, signor presidente. Per sbaglio. Per il fatto che ero ubriaco. Non è che volevo proprio scappare.»

PTM: «Non è piuttosto vero che siete una spia degli arabi?»

C: «Nossignore.»

PTM: «Non è forse vero che avete due figli arabi?»

C: «I figli sono miei.»

PTM: «Se li avete avuti con una beduina, allora sono beduini.»

C: «Sono miei signor Presidente, miei e di mia moglie.»

PTM: «Perché avete combattuto con il nemico? Vi pagavano?»

C: «Nossignore.»

PTM: «E allora perché?»

C: «Per i miei figlie e la mia terra.»

PTM: «Eravate agli ordini di Omar al-Mukhtār?

C: «Sì.» 

PTM: «Con che nome e che grado?»

C: «Yusuf, grado di capitano.»

PTM: «Avete mai ucciso soldati italiani?»

C: «Una volta sola. Ieri.»

PTM: «Non offendete la corte con le vostre menzogne Iorio.»

C: «Solo a uno. A quella bestia di Sciaboletta.»

PTM: «Ma chi volete che vi creda soldato Iorio… Voi, un traditore!»

C: «Potete anche non credermi, ma questa è la verità.»

PTM: «Volete proprio farci perdere tempo oggi, eh?»

C: «Avete scelto voi di perdere tempo con questo processo.»

PTM: «Come si permette soldato Iorio? Qui si passa il limite! Riportatelo in cella! Domani pronunceremo il verdetto!»

* *

*

C: «E questo è quanto…»
SGS: «Matri santissima. E ora stai comu a prima vota che ti catturarono i beduini, già brutto assai na vota a spittari che ti condannano a motte, figuramunni ddui. Matri mia, mi ddispiace Carminuzzo e ora mi sento pure male iu, ca sugnu ‘cca, a tenerti la guardia… Ma che pozzu fari? Manco i chiavi da a cella iaiu… Che pozzu fari?»
C: «Stai senza pensieri, Peppì. Che devi fare? Nci sta niente da fare. Anzi no, una cosa ci sarebbe.»

SGS: «E dimmela.»
C: «Aggio scritto una lettera.»
SGS: «Ah, sì?»
C: «Dove sta? Eccola. Mi farebbe piacere che la tieni tu.»
SGS: «Comu non ta tegnu, e a chi ll’ha dari?»
C: «Noo o’saccio. Tienila, tu. Ma m’arraccumann, non la perdere. Che se quella la legge il sergente Rosina tu passi un guaio e io mi rivolto nella bara, hai capit?»
SGS: «Ma quale bbara e bbara? Nun ci pinsari. Chi nni poi sapiri? Tu futtunatu sì, a ggalera sicuro t’a fannu fari, ma capace che…»
C: «Eh, ma quale capace che? Uagliò, no… No… Stanotte è l’ultima uagliò, me lo sento dentro il petto. E poi sono stanco, Peppì. Tanto stanco.» 

SGS: «Ca ciettu che sei stanco. Arriposati che ancora notte iè.»
C: «E proviamo. Mi stendo un minuto, eh uagliò?»

(Carmine si addormenta.)
SGS: «Ciettu. A cucchiti. Ca vita ca facisti. U cuntu d’un libbru mi pari. Tante cose vidisti, è vero, Carminuzzo? Ah? T’addummiscisti? Riposati, bravo. Buonanotte, Carminuzzo.»

* *

*

Maggiore G. Venier: «Soldato Iorio, svegliati.»

C: «È ora?»

MGV: «Sono il maggiore Germano Venier. alzati in piedi. La corte militare, riunita durante la notte in assise, ha emesso il seguente verdetto: “Il soldato Iorio è riconosciuto colpevole di reato di diserzione e passaggio al nemico, di tradimento, di omicidio e di mancato omicidio e per tanto viene condannato a morte, previa degradazione”.»
C: «Dove sta Peppino?»
MGV: «Chi?»
C: «Il soldato che faceva la guardia.»
MGV: «È stato messo in isolamento.»
C: «E pecchè?»
MGV: «Si è rifiutato di far parte del plotone d’esecuzione.»
C: «Ah! Nnaccia a’morte, uagliò. Grazie…»
MGV: «Indossa questa divisa.»

C: «Nossignore.»

MGV: «Come hai detto, soldato?»

C: «Agg dett no signore. Voglio morire vestito come dico io, da beduino.»

MGV: «… E va bene. Vieni con noi.»

C: «Mi portate a morire nel cortile.»

MGV: «Cammina, non complichiamo le cose.»

C: «Agg capit, vi vergognate di sparare a un italiano pure se è traditore, come dite voi.»

MGV: «Eseguiamo gli ordini.»

C: «Eccoli qua. Che bel plotone, tutto per me.»

MGV: «Fermo qui.»

C: «Come comanda.»

MGV: «Bendate il prigioniero.»

C: «Vi ringrazio maggiore, sto bene così.»

MGV: «Ne siete sicuro, Iorio?»

C: «Sicurissimo. Non tengo paura.»

MGV: «Hai un ultimo desiderio?»
C: «Vorrei il muftī, per il funerale.»
MGV: «Non fare la sceneggiata, non sei mussulmano.»

C: «Lo voglio uguale. Permettete una parola maggiore Venier? Vedete signor maggiore, io oggi me ne vado. Ma i miei figli no. Loro restano. Se muoio da cristiano, saranno figli di un traditore. Se muoio da musulmano, saranno figli di un eroe.»

MGV: «D’accordo. Hai la mia parola.»
C: «Grazie, grazie assai.»
MGV: «Plotone, attenti!»

Plotone: «Sissignore!»
SGS: «Minchia, Carminuzzo. T’ammazzano, allura. Ma nun t’ai a preoccupari a lettera io l’haiu. Cummia sta… accà. “Mi chiamo Yussuf e mi chiamavo Carmine Iorio. Domani mattina mi ammazzeranno gli italiani, mi ammazzeranno, ma ora sono tranquillo”.»
MGV: «Schierarsi!»

C: «Solo mi dispiace che non ho potuto salvare a mia moglie Teber.»
MGV: «Attenti!» 

C: «E che non posso più giocare con i miei bambini e l’aquilone.»
MGV: «Prima linea in ginocchio!»
C: «Volevo pure dire a mia madre che la voglio bene e la ringrazio di non avermi venduto.»
MGV: «Caricar-arm!» 

C: «Che qui in Libia, mi hanno trattato come un fratello e pure se per poco, non ho fatto la fame.»
MGV: «Puntare!»
C: «E che ho trovato, finalmente, quello che cercavo da una vita: la libertà.»
MGV: «Fuoco!»

* *

*

C: «Djamal, non correre…»
D: «Papà, hai visto come faccio volare l’aquilone?»

C: «Sei bravo, eh. Tienilo forte però, che il vento tira.»

D: «Io sono forte.»

C: «Certo, come no! Attento che ora si abbassa, ritira un po’ la cordicella.»

D: «Così?»

C: «Bravo. Bravo uagliò. T’aggia mparà e t’aggia perdere.»

D: «Che hai detto?»

C: «Niente Djamal, niente.»

D: «Papà, come fanno gli aquiloni a volare?»

C: «Uagliò sono leggeri.»

D: «E volano più in là del mare?»

C: «Se sei bravo, sì.»
D: «La mamma mi ha detto che tu sei venuto dal mare.»

C: « È o vero.»

D: «E che c’è dall’altra parte del mare?»

C: «Niente Djamal. Non ci sta niente.»

D: «Come niente?»

C: «Chill ‘o mare è comm nu specchio diceva nonno mio.»

D: «Come uno specchio?»

C: «Sissignore. Djamal nu specchio gross assai o chiu grann ro munn e se ci guardi bene, se stai attento, ti accorgi che ci stai proprio tu dall’altra parte.»

D: «Ma io sto qua! Mica di là.»

C: «Ah ah ah tieni ragione uagliò! Chi arriva prima a casa vince un dattero uagliò, sei pronto? Uno, due, via!»

 

Testi, musiche Compagnia Fantasma.

2 commenti Aggiungi il tuo

  1. enzo ha detto:

    bello

    "Mi piace"

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