Ciò che resta del conflitto

Alcune considerazioni sullo sgombero del centro sociale Leoncavallo e sul corteo di sabato

Con un subdolo meccanismo di rivalsa economica, i proprietari che si rifanno sul ministero dell’interno, il ministero dell’interno che cita per 3 milioni di euro la portavoce delle mamme del Leoncavallo, l’estrema destra al governo arriva a un traguardo dietro cui sbava da sempre. Lo sfratto del centro sociale Leoncavallo giunge quindi come ingiunzione di un regolamento di conti tra proprietari di grandi aree e coloro che ne garantiscono i patrimoni col pretesto della legalità, parola brandita dalle destre come arma privilegiata per garantirsi un consenso, la prima delle loro “idee senza parole”, con la quale si sono costruiti una imponente armatura propagandistica alimentata dal vuoto circostante.

Legalità. “Milano galleggia sulla cocaina” ci diceva un avvocato milanese, che a causa del suo lavoro doveva averne viste di tutti i colori. Ci risulta che anche le droghe pesanti, e per questo governo anche quelle senza principio attivo, sono illegali e sanzionabili coloro che ne fanno uso e traffico. Ma evidentemente non a Milano, dove alla città della moda, dei saloni e dei vari weekend tematici il divertimento non può assolutamente mancare, in ogni sua forma, neanche in polvere. Locali che aprono e chiudono alimentati dal riciclaggio di denaro, lo sfruttamento del lavoro, le attività delle organizzazioni criminali che in una città come questa hanno fatto la loro fortuna, sono le illegalità che non costituiscono la propaganda del governo dei fascisti, e in generale contro cui puntare il dito diventa imbarazzante. Che dire poi dell’esplosione dello scandalo immobiliare, dopo anni di trasformazione urbana che ha intaccato il tessuto sociale della città irrimediabilmente; in questo caso basta una legge che salva un modello di costruzione selvaggia e l’illegalità diventa legale senza troppi problemi.

La prima lapide che abbiamo restaurato col nostro progetto di memoria è stata quella di Fausto e Iaio, i due militanti del Leoncavallo uccisi per le loro indagini sul traffico di droga nel quartiere, lo stesso del vecchio Leo, indagini che risalivano tramite la malavita ad ambienti dell’estrema destra. Le controinchieste, la controinformazione e di conseguenza la controcultura, cioè la modalità concreta di organizzare un pensiero conflittuale che si traduce in organizzazione e progettualità alternativa in ogni campo del sapere ci sembra il grande messaggio e il significato profondo di cui la storia del Leoncavallo è portatrice.

È questa storia che l’estrema destra al governo vuole disintegrare, di cui non deve rimanere traccia nemmeno nello spazio per organizzare un pensiero critico, conflittuale, antagonista. In questo modo la tanto sbandierata illegalità si rivela per quello che è, nient’altro che un pretesto. Quello che il Leoncavallo rappresenta come simbolo deve essere fatto a pezzi.

Nel nostro lavoro di memoria ci organizziamo contro la narrazione che appiattisce la storia dell’antifascismo sotto il rullo compressore della pacificazione e che ne distrugge la forza conflittuale sotto il martello dell’equiparazione. Per l’estrema destra anche l’antifascismo e la Resistenza, come simboli, devono essere depotenziati e smontati un pezzo alla volta fino a non avere più un significato comune.

Per noi i simboli sono altra cosa: vanno attraversati quando ci si rivolge idealmente a essi. La differenza tra la loro staticità e ciò a cui essi possono condurre è data dal momento in cui questa necessità di muoversi all’interno di una idea diventa una necessità collettiva. Per questo sabato pomeriggio ci saremo anche noi ad attraversare lo spazio pubblico della città passando tra le sue rovine contemporanee per rivendicare spazi di conflitto simbolici e concreti.

Ci vediamo in piazza

RAM Restauro Arte Memoria

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