L’Episodio Abissino

Cominciamo a pubblicare una serie di post di avvicinamento al 19 febbraio | Yekatit 12, il giorno del ricordo della strage di Addis Abeba. L’Episodio Abissino apre il mosaic novel “Cronache dalla Polvere” del collettivo Zoya Barontini pubblicato da Bompiani nel 2019.

illustrazione di Alberto Merlin

5 dicembre 1934. Le truppe coloniali italiane di stanza in Eritrea varcano il confine etiope in seguito a un breve scontro armato a Ual Ual, una fascia di territorio conteso ricco di pozzi d’acqua. È il casus belli che la propaganda fascista aspetta da anni per giustificare l’aggressione all’Etiopia.

2 ottobre 1935. Comincia la guerra tra Regno d’Italia e Impero d’Etiopia. Le truppe italiane invadono il territorio etiope dall’Eritrea a nord e dalla Somalia a sud-est. L’Italia non si accontenta della sua superiorità numerica e tecnologica e fa ampio uso di armi chimiche, tra cui gas asfissianti e iprite, in spregio alla convenzione di Ginevra del 1925. L’ordine di Benito Mussolini al generale Rodolfo Graziani è chiaro: “Dati sistemi nemico di cui a suo dispaccio n. 630 autorizzo V.E. all’impiego anche su vasta scala di qualunque gas et dei lanciafiamme.”

30 dicembre 1935. La regia aeronautica italiana bombarda con l’iprite l’ospedale da campo della Croce Rossa internazionale di Malca Dida su ordine di Rodolfo Graziani. È un messaggio per la Lega delle Nazioni: non intromettetevi. Ventotto civili e il medico svedese Gunnar Lundström muoiono smembrati e scorticati vivi.

Nominato viceré d’Etiopia, Graziani mette in atto una durissima repressione. Vengono organizzati campi di concentramento e prigionia ed erette forche pubbliche. I rivoltosi vengono passati per le armi. Nel campo di Danane muoiono 5500 civili.

Molti militari italiani si fanno fotografare vicino agli impiccati o accanto alle ceste piene di teste mozzate.

5 maggio 1936. Nonostante la resistenza dell’esercito e degli arbegnuoc, i partigiani etiopi, le truppe italiane prendono la capitale, Addis Abeba.
Mussolini scrive al generale Pietro Badoglio al comando dell’operazione: “Occupata Addis Abeba V.E. darà ordini perché: 1° Siano fucilati sommariamente tutti coloro che in città aut dintorni siano sorpresi colle armi alla mano. 2° Siano fucilati sommariamente tutti i cosiddetti giovani etiopi, barbari crudeli e pretenziosi, autori morali dei saccheggi. 3° Siano fucilati quanti abbiano partecipato a violenze, saccheggi incendi. 4° Siano sommariamente fucilati quanti trascorse 24 ore non abbiano consegnato armi da fuoco e munizioni. Attendo una parola che confermi che questi ordini saranno – come sempre – eseguiti.”

Il tricolore viene issato in città e cominciano le fucilazioni sommarie della popolazione resistente. Mussolini si affaccia in piazza Venezia a Roma per un discorso alla nazione: “[…] Non è senza emozione e senza fierezza che, dopo sette mesi di aspre ostilità, pronuncio questa grande parola. Ma è strettamente necessario che io aggiunga che si tratta della nostra pace, della pace romana, che si esprime in questa semplice, irrevocabile, definitiva proposizione: l’Etiopia è italiana!”

Negli Stati Uniti parte una campagna di arruolamento di volontari di origine etiope pronti a imbarcarsi per andare in Africa a combattere gli italiani.

27 dicembre 1936. Il supplemento illustrato del Corriere della Sera, la Domenica del Corriere, riporta in prima pagina: “Tutti i territori dell’Impero sono occupati, le popolazioni sottomesse salutano il tricolore.”

19 febbraio 1937. Al Piccolo Ghebì di Addis Abeba, durante le celebrazioni per la nascita di Vittorio Emanuele di Savoia, figlio del re d’Italia, a mezzogiorno due studenti eritrei lanciano una sequela di otto bombe a mano verso il palco delle autorità. Graziani è ferito e viene portato all’ospedale. La rappresaglia è immediata. Si scatena il fuoco sulla folla che cerca di fuggire. La città è un inferno. Militari e civili italiani, affiancati dagli àscari, danno la caccia ai responsabili mettendo a ferro e fuoco la capitale. Le violenze gratuite si moltiplicano. Ciro Poggiali, inviato speciale del Corriere della Sera ad Addis Abeba, scrive nel suo diario segreto: “Tutti i civili che si trovano in Addis Abeba hanno assunto il compito della vendetta, condotta fulmineamente con i sistemi del più autentico squadrismo fascista. Girano armati di manganelli e di sbarre di ferro, accoppando quanti indigeni si trovano ancora in strada… Inutile dire che lo scempio s’abbatte contro gente ignara e innocente.”

L’orrore si espande in tutta l’Etiopia. Nei giorni successivi all’attentato arriva l’ordine di eliminare i ribelli e chiunque sia sospettato di averli aiutati con tutti i mezzi necessari. Si ritiene che la chiesa copta stia offrendo riparo ai responsabili. I telegrammi di Mussolini a Graziani, anche in questo caso, sono inequivocabili: “Nessuno dei fermi già effettuati e di quelli che si faranno deve essere rilasciato senza mio ordine. Tutti i civili e religiosi comunque sospetti devono essere passati per le armi e senza indugi.”

La caccia all’uomo è aperta. Ribelli, monaci, ma anche cantastorie, uomini sacri e civili. Donne, vecchi e bambini. Nel raggio di 150 chilometri, vengono dati alle fiamme 115.422 tucul, tre chiese e un convento. Vengono passati per le armi 2523 ribelli.

21-29 maggio 1937. Nel villaggio conventuale di Debra Libanos, le truppe coloniali italiane, i carabinieri, gli alpini e le camicie nere d’Africa al comando del generale Pietro Maletti, incaricato della repressione nella regione dello Shoa, compiono una strage per ordine di Graziani. Il viceré e Maletti sono in contatto telegrafico: “L’avvocato militare mi comunica proprio in questo momento che ha raggiunto la prova assoluta della correità dei monaci del convento di Debra Libanos con gli autori dell’attentato. Passi pertanto per le armi tutti i monaci indistintamente, compreso il vice-priore. Prego darmi assicurazione comunicandomi numero di essi. Dia pubblicità at ragioni determinanti provvedimento.”

Maletti risponde laconico: “Liquidazione completa.”
A Debra Libanos vengono massacrati 320 monaci, 129 giovani diaconi e 1600 civili. Sterminando i copti, il viceré vuole piegare al volere italiano la chiesa etiope e la classe dirigente del paese, ma nelle strade, nelle pianure, sugli altipiani e nelle foreste del paese, gli arbegnuoc resistono e combattono senza sosta, tra loro ci sono anche alcuni disertori italiani… ma questa è un’altra storia, una storia di fantasmi.

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