La lampadina e la missione mondiale

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Ovvero come riciclare una lampadina secondo Sirio Lubreto, uno degli autori del collettivo Zoya Barontini che ha dato vita al mosaic novel sul cuore di tenebra del colonialismo italiano Cronache dalla Polvere.

Gli esseri umani amano pensare che le grandi scoperte siano dovute alla geniale intuizione di pochi illuminati. Ci piace coltivare questa immagine romantica e rassicurante dell’uomo solo al comando che nel chiuso di un uno studio male illuminato ridisegna i confini del mondo, immagina qualcosa di rivoluzionario e la realizza partendo da zero grazie a intelligenza e incrollabile forza di volontà.  La realtà delle cose è quanto di più lontano esista da questa immagine. 

Il progresso dell’umanità è sostanzialmente trainato da tre grandi forze: il culo, la pigrizia e il plagio sbagliato. L’agricoltura è nata quando il primo raccoglitore-cacciatore ha sentito il bisogno di andare a fare i bisogni in un angolino appartato, rendendosi poi conto che proprio lì, dopo un po’ di pioggia, erano ricresciute le piante di cui andava ghiotto. Colombo approdò in America volendo andare in India, Fleming scoprì la penicillina dimenticandosi una provetta aperta poi contaminata dalla muffa. Gran parte degli oggetti che ci circondano sono frutto di un tentativo fallimentare di creare qualcos’altro, o sono oggetti il cui utilizzo è stato esteso a campi lontani anni luce dell’idea originale solo perché mancavano il tempo e l’energia per creare qualcosa di nuovo. 

La cattiva notizia è che noi esseri umani manchiamo di originalità, quella buona è che siamo dei grandi improvvisatori e riusciamo quasi sempre a riciclare quello che produciamo per sbaglio.  L’impersonificazione del progresso non è uno scienziato arruffato circondato da formule e provette, ma un magliaro sudato che vende giubbotti di pelle falsa agli autogrill. 

Prendete la lampadina a incandescenza, il classico bulbo di vetro con il filo di tungsteno dentro. Per arrivare alla sua “invenzione” sono stati necessari svariati decenni di passaggi intermedi tra la prima volta in cui un cavo metallico fu portato a incandescenza e la costruzione di qualcosa che potesse illuminare una stanza senza autodistruggersi dopo un paio d’ore di utilizzo. Per più o meno cento anni, gli esseri umani hanno utilizzato un oggetto che trasformava il 5% dell’energia elettrica consumata in luce e il 95% in calore non già per cuocere le uova al tegamino, ma per illuminare le loro case. 

Ci fu poi un giovane napoletano che, verso la fine degli anni ’90, volle restituire nuova dignità alla lampadina trasformandola nell’arma più adatta a sfregiare l’orrida memoria del fu impero italiota. Avendo in orrore una targa di marmo posta su un lato del palazzo sede del distaccamento della marina militare, il giovane si pose il problema di come sfregiarla senza incorrere nelle conseguenze economiche e penali che un tale gesto avrebbe potuto comportare. La targa era posta sull’angolo del palazzo a un’altezza irraggiungibile senza l’aiuto di una scala. Recitava: “Ai soldati della terra del mare e del cielo che caddero nelle guerre d’Africa avanzando i termini della patria risorta alla missione mondiale”. 

Ora, considerando che per ogni soldato della terra del mare e del cielo caduto, ci furono almeno un centinaio di africani massacrati, che i termini della patria “quando c’era lui” non superavano manco Eboli  e che, se interrogato su quale fosse la missione mondiale, il 100% dei passanti avrebbe risposto senza esitazione “Spagna ‘82”, quella targa era senza ombra di dubbio una cagata da rimuovere. 

Seguendo dunque il teorema del buon teppista (soddisfazione è uguale a sfregio meno strizza per il quadrato della fuga), il giovane si chiese quale oggetto avesse potuto essere portato e lanciato con discrezione prima d’imboccare di corsa le scalette che da Via Console portavano a via Acton, protetto dall’oscurità della notte.

Ed è qui che arriviamo alla lampadina; perché avrà pure sfruttato solo il 5% dell’energia elettrica, ma poteva spatasciare su una qualsiasi superficie il 100% della vernice contenuta all’interno del suo bulbo. Bastava staccare la base a vite dal bulbo, riempire quest’ultimo con la vernice colorata e rifissare la base con del nastro isolante. Leggera, economica e aerodinamica, la lampadina era risorta a nuova missione: pace all’anima di Edison!

Iniziò così una breve quanto brillante stagione di lanci notturni, i cui schizzi venivano cancellati con misteriosa solerzia appena sorto il sole: la marina militare italiana avrà pure fallito nella missione mondiale, ma con straccio e solvente era meglio di Mastro Lindo. 

In conclusione: il giovane teppista non fu mai scoperto, quando leggono della missione mondiale i passanti non pensano più a Spagna ’82, ma a Germania ‘06, nel 2012 l’Unione Europea ha bandito le lampadine a incandescenza, l’Italia invece non ha mai bandito gli obbrobri fascisti. La targa in questione, infatti, sta ancora là, all’incrocio tra via Santa Lucia e Via Console: bianca, pulita e stronza come solo una targa fascista riesce a essere.

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