Mentre la destra al governo non perde occasione di elogiare, encomiare, sostenere (e verbi vari del genere) le forze dell’ordine, pochi mesi fa a Grosseto l’assessore comunale alla toponomastica, deputato e coordinatore regionale di Fratelli d’Italia, Fabrizio Rossi, ha annunciato che “nasce via della Pacificazione nazionale“ che si biforca in via Enrico Berlinguer e via Giorgio Almirante.
Il bipensiero impera (a destra come a sinistra) da diversi anni ormai e questa è solo una delle tante grottesche ricadute sulla vita quotidiana delle persone che attraversano e vivono gli spazi urbani. Di via Almirante in Italia ce ne sono diverse, ma l’intitolazione grossetana ha un surplus di surrealismo a cui nessun altra città era mai arrivata. Nel frattempo anche a Salò una sede del partito erede del MSI ha scelto di celebrare L’uomo che immaginò il futuro… Giorgio Almirante, la cui didascalia sotto i cartelli stradali potrebbe suonare più o meno così: fucilatore di partigiani, firmatario delle leggi razziali, collaborazionista con le truppe naziste, sostenitore di stragisti assassini di carabinieri.
Come sempre: La pace è guerra, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza

Se sul sito internet della “Fondazione Giorgio Almirante. L’uomo che immaginò il futuro” cercate informazioni in merito all’attentato di Peteano (frazione del comune di Sagrado in provincia di Gorizia realizzato il 31 maggio 1972, in cui morirono tre carabinieri – Antonio Ferraro, Donato Poveromo e Franco Dongiovanni – e ne ferì gravemente altri due – Angelo Tagliari e Giuseppe Zazzaro) troverete i seguenti riferimenti:
“Nel corso della campagna elettorale [1978 n.d.r], fra l’altro, un esponente di Democrazia Nazionale lo aveva accusato di favoreggiamento personale nei confronti di un presunto responsabile della strage di Peteano (avvenuta nel 1972); l’accusa, pur smentita dal senatore di Democrazia Nazionale sulle cui confidenze avrebbe dovuto basarsi, portò a una lunga inchiesta, al cui termine Almirante fu rinviato a giudizio con altri [1986 n.d.r], ma amnistiato prima dell’inizio del processo”.
Data la natura della Fondazione e nonostante i ripetuti sproloqui della destra sulla cancel culture, sarebbe illusorio attendersi di trovare altro da questa superba prova di funambolismo linguistico tutta tesa a dissimulare le responsabilità politica del G.A. nell’aver sostenuto economicamente uno dei latitanti che materialmente realizzarono la strage (Carlo Cicuttini, rifugiatosi nella Spagna di Francisco Franco; tuttavia sullo stesso sito si trova il discorso, datato 23 febbraio 1982 con il quale Almirante “lancia una petizione per chiedere l’applicazione della pena di morte per terrorismo”.
Tale responsabilità – mai divenuta responsabilità penale personale solo grazie all’amnistia di cui il G.A. si avvalse per il reato di favoreggiamento aggravato in favore dei responsabili di atti di terrorismo – è tuttavia ormai acclarata in sede storica, paradossalmente proprio grazie al dibattimento che condannò invece, sulla base delle medesime prove raccolte durante la medesima indagine per i medesimi capi di imputazione, il correo del G.A. a tre anni e nove mesi.
Non ci interessa in questa sede fare debunking delle interpretazioni santificanti della figura di Giorgio Almirante – novello padre della Repubblica del 2 giugno che si dimentica però del 31 maggio – ma sottolineare la scelta indecorosa del partito (ora di maggioranza relativa, Fratelli d’Italia) dell’aver aperto una sezione a lui dedicata proprio a Salò senza nemmeno aver avuto il coraggio di problematizzarne la figura, non solo per i trascorsi fascisti ma per il ruolo avuto nel quadro della storia della c.d. prima repubblica.
Se l’evocazione dell’esperienza repubblichina del G.A. connaturata alla scelta di aprire a Salò è del tutto trasparente, non lo è affatto invece il legame della cittadina gardesana con le vittime del terrorismo eversivo di destra: Vittorio Zambarda cittadino salodiano fu tra i morti della bomba di Piazza Loggia, esplosa a Brescia il 28 maggio 1974 durante lo svolgimento di una manifestazione unitaria promossa contro la violenza terroristica di matrice fascista indetta dopo la morte di Silvio Ferrari, giovane estremista di destra di casa sul Garda, esploso mentre piazzava un ordigno il 19 maggio del ’74 a Brescia.
Avere tra i nuovi “padri della Repubblica” un favoreggiatore di coloro che hanno sostenuto la stagioni delle stragi è una proposta che accogliamo con sdegno. Ed è per questa ragione che ci siamo permessi di celebrare a nostro modo il 31 di maggio.
Memoria ma accanto alla Storia.

PER APPROFONDIRE:
Paolo Morando, L’Ergastolano. La strage di Peteano e l’enigma di Vinciguerra (Laterza)
Benedetta Tobagi, Una stella incoronata di Buio. Storia di una strage Impunita (Einaudi)