L’avviso 120

Le immagini sono spettacolari: una folla variopinta abbatte una statua, tra musica e fumogeni, mentre un giornalista con un microfono in mano documenta la scena. La polvere si solleva, la telecamera cattura la testa di pietra che rotola a terra, imbrattata di vernice. L’inviato si copre un orecchio, incassa il collo tra le spalle. La linea passa allo studio, dove un opinionista annuisce compiaciuto, inanellando alcune premesse di circostanza. Poi, inevitabile, cala l’asso pigliatutto della cancel culture.

Ma cos’è davvero la cancel culture? Cambiare il nome di una piazza o di una via, demolire un monumento, revocare una cittadinanza (dis)onoraria? Si tratta quasi sempre di azioni dal basso, nate dalla strada o dalle richieste avanzate da gruppi di cittadini. Più che cancellare, queste azioni problematizzano, riportando al centro del dibattito pubblico la storia. In un certo senso, disinnescano l’oblio a cui il tempo ha consegnato molte vicende.

Non è l’approccio che abbiamo scelto di adottare da queste parti ma, di certo, non lo disapproviamo. In dieci anni di attività e riflessioni possiamo affermare con certezza che la vera cultura della cancellazione ha tutt’altro segno. È una pratica che arriva dall’alto, meno rumorosa ma più insidiosa. Usa metodi surrettizi come il soft power o burocratici che passano da celebrazioni, commemorazioni, circolari ministeriali, querele, ecc. e innescano spesso un florilegio di narrazioni tossiche.

Gli esempi sono innumerevoli. Nel 2004 è stato istituito il Giorno del Ricordo per commemorare “i massacri delle foibe e l’esodo giuliano-dalmata”. In vent’anni si è trasformato in un ginepraio di inesattezze storiche e manipolazioni politiche da cui è difficile districarsi. Ogni critica viene soffocata da un coro dissonante di detentori di una “verità” costruita e introiettata attraverso l’accumulo di falsità.

E ancora: di recente molte strade sono state intitolate a figure legate al colonialismo o al fascismo, camuffate da botanici, esploratori, aviatori, ecc. La Marina italiana ha celebrato l’attacco alla Baia di Suda – e gli uomini della X MAS -; il cinema ci ha proposto un film come Comandante; il Parlamento ha votato all’unanimità per l’istituzione di una giornata in memoria degli alpini che invasero l’Unione Sovietica al seguito delle truppe naziste… Nel frattempo, un professore di Padova e la sindaca di Specchia sono stati querelati e trascinati in tribunale dagli eredi di Cadorna per aver sottolineato la sua “inadeguatezza” al comando… E sono solo gocce nel mare.

Se dobbiamo parlare di cancel culture, be’, questa è cancel culture. Altera la memoria e cancella la Storia per raccontarne un’altra. Più ripeti una bugia…

Questo tipo di approccio si sta insinuando anche nella scuola. Ad aprile, all’Istituto Battisti di Salò gli studenti hanno incontrato due protagonisti “eroici” della battaglia del Checkpoint Pasta, avvenuta il 2 luglio 1993 in Somalia mentre a Ferrara, all’inizio di novembre, alcune classi del Liceo Ariosto hanno ricevuto l’Avviso 120, che le informava di una sospensione delle lezioni per partecipare alle celebrazioni della “Celeste Patrona dell’Arma dei Carabinieri” e dell’83° anniversario della Battaglia di Culqualber.

Il Collettivo Studentesco 25 Settembre ha respinto l’invito al mittente. Riportiamo qui il loro comunicato.

Come riportato dall’Avviso numero 120 dell’1° novembre, due classi quinte, una terza e i rappresentanti di tre classi prime del nostro liceo dovranno sospendere le loro lezioni per recarsi alle “ricorrenze della Celeste Patrona dell’Arma dei Carabinieri” e “dell’83° Anniversario della Battaglia di Culqualber”, l’ultimo atto prima della conquista britannica di Gondar, che segna la fine dell’Africa Orientale Italiana. Inoltre, nell’autorizzazione al trattamento dei dati personali consegnata a noi studenti, viene specificato come l’attività consista nella partecipazione alla “Santa Messa” presso la Cattedrale di San Giorgio.

Come studenti, è necessario fare chiarezza su questa “attività”.

1. Non è accettabile che un’istituzione pubblica e laica promuova la partecipazione a un evento prettamente confessionale e religioso, interrompendo le sue funzioni per far recare i suoi studenti a una messa.

2. Come riportato dall’Avviso numero 120, l’evento è in ricordo della Battaglia di Culqualber. Si dimentica, però, di specificare che questa battaglia fu combattuta nel 1941, quando i Carabinieri, al fianco delle Camicie Nere, si scontrarono contro i Britannici. Si tratta, quindi, di un evento avvenuto sotto il regime fascista, nel contesto dei crimini coloniali perpetrati da quel regime in Etiopia.

3. L’evento religioso non solo santifica un episodio avvenuto nel contesto coloniale, ma è funzionale all’esaltazione di un corpo armato dello Stato davanti a studenti, anche di classi prime, portando avanti una retorica governativa sempre più repressiva e bellicista.

4. Né studenti né professori sono stati interpellati in sede di consiglio di classe su questa attività, e non è nemmeno stato chiesto un parere agli studenti interessati.

5. Il modulo di adesione consegnato agli studenti è stato impostato senza presentare una casella o un riferimento esplicito alla non adesione, comunque possibile e auspicabile.

Sarebbe stato doveroso da parte della scuola spiegare agli studenti la vera natura e storia di questa ricorrenza e di queste celebrazioni. Poiché ciò non è stato fatto, gli studenti hanno deciso di informarsi e informare. Sarà, quindi, nella coscienza di ogni studente, libero ma consapevole, interessarsi, fare ulteriori ricerche o decidersi ad attivarsi e non partecipare, scelta che in molti hanno già maturato.