Pubblichiamo il breve e incisivo resoconto di Paolo La Valle, docente precario dell’Università di Milano, sulla sua lezione in piazza…
Il giorno 8 marzo ero da poco diventato un docente a contratto di letteratura portoghese dell’università di Milano. Un contratto misero, poco pagato e a breve termine.
In quelle settimane si discuteva di un possibile intervento militare italiano in Libia. Tutt’ora il tema è oggetto di discussione, ma il livello di enfasi è cresciuto, complici gli attentati a Bruxelles del 22 marzo a cui ha fatto seguito una richiesta di maggiore sicurezza delle nostre frontiere.
Nello stesso periodo sono successi due fatti inquietanti: a Parigi, nel corso della preparazione di un’assemblea contro la Loi Travail, gli studenti universitari sono stati cacciata dall’università dalla polizia entrata in assetto antisommossa. Pochi giorni dopo qualcosa di simile è accaduto a Bologna dove una carica all’interno della sede di Scienze Politiche ha coinvolto gli studenti di un collettivo universitario e persone presenti sul posto che festeggiavano una laurea universitaria. La tensione nelle università sembra essere particolarmente forte e il dissenso, non solo contro lo stato dell’università, ma in generale, è bandito. Nella stesso Dipartimento aveva destato particolarmente scandalo il fatto che un professore fosse stato interrotto a lezione per aver scritto articolo di carattere smaccatamente interventista sul Corriere della Sera, utilizzando peraltro una citazione di Benito Mussolini.
Martedì 8 marzo, alle 10.30, ho avuto la mia prima lezione sul colonialismo portoghese. Una tematica specifica che però si ricollega ad una panoramica generale: lo studioso Boaventura de Sousa Santos ha definito quello portoghese un “colonialismo subalterno” rispetto a quello di Gran Bretagna, ricollegando il fenomeno coloniale portoghese ad uno scenario che ha visto l’intera Europa protagonista di una razzia globale.
Parlare di colonialismo non è mai una cosa neutra, soprattutto in questo periodo in Italia e visto che eravamo (e siamo) in procinto di attaccare la Libia per la quarta volta ho pensato di fare la lezione in piazza, come forma di protesta.
Dopo cento anni di guerre la Libia è un colabrodo e riproporre la stessa modalità delle altre volte non è la soluzione, quanto piuttosto il problema.
La lezione si è tenuta quindi in Piazza Sant’Alessandro e gli studenti hanno dato il loro accordo all’iniziativa. Nel giorno della lezione erano presenti in una quarantina, tra studenti e studentesse, alcuni provenienti da altri corsi o da anni successivi. Per un’ora e mezzo, in una giornata piuttosto fredda, si è discusso di colonialismo europeo della seconda metà dell’Ottocento, della Conferenza di Berlino del 1884-85 (quando gli stati europei si spartirono l’Africa col righello) e di un saggio di Antero de Quental intitolato “Causas das decadências dos povos peninsulares”.
Al termine della lezione è partito un applauso e pochi giorni dopo una studentessa ha riportato l’evento in un breve articolo. Visto che il tema continua a essere caldo, ho proposto agli studenti e alle studentesse che se volessero farsi parte attiva della protesta contro le politiche espansioniste italiane ed europee possono essere loro a pensare, organizzare ed eventualmente condurre una lezione in piazza.
Non era e non è difficile provare ad alzare la cresta in merito al tema del colonialismo. Soprattutto (o forse è meglio dire persino) in università. Non mi è chiaro perché ciò non accada. Come ho fatto notare all’epoca sono un docente a contratto, pagato poco e con scarsissime possibilità di carriera. In quanto tale sono la persona più ricattabile della storia. Direi che se l’ho fatto io lo possono fare anche altri: il primo ricatto è quello che ci si autoimpone.