Pyrites abunda in oculis stultorum

Riprende l’operazione pirite a Milano. Strada per strada, zona per zona, le “medaglie d’oro” non smettono di saltare all’occhio per il loro arrogante luccichìo. Non sono patrioti, definizione per lo più legata al periodo risorgimentale; non sono partigiani, per quel poco che Milano ha celebrato nella toponomastica, nascosti ogni tanto dalle professioni che hanno svolto deposte le armi, prefetto, nel caso di via Ettore Troilo, sindacalista, nel caso di via Teresa Noce. Sono in gran parte, se non tutti, appartenenti al Regio Esercito e i gravi crimini di cui si sono macchiati sono nascosti ora da quella definizione che ne esalta le gesta, così come la loro divisa ne celò i crimini quando furono vivi; non medaglie d’oro ma di pirite e ne siamo cincondat3.

Prendiamo, per esempio, Umberto Masotto, giovane tenente del regio esercito. Chiese di essere mandato in Africa con il corpo di spedizione per combattere le guerre coloniali nel primo tentativo di invasione dell’Etiopia condotto dal Regno d’Italia. Come avrebbe potuto esimersi un giovane nobile dalle belle speranze e dall’indole indomita, negli anni in cui si formava la coscienza imperialista di un paese agli inizi della propria espansione coloniale? Come poteva non riconoscere la propria superiorità razziale, invadendo e colonizzando terre altre da quelle dei propri ricchi natali? La disfatta di Adua fece di lui un martire della causa, una medaglia d’oro (finto) e il nome di una piccola strada.

Tra i due militi purtroppo noti e addirittura decorati al valore che abbiamo preso di mira stanotte, ci imbattiamo in piazza Adigrat, città del Tigrè settentrionale, avamposto per l’esercito italiano prima utilizzato come snodo logistico durante la campagna italo-etiopica, perduta dopo la battaglia di Adua, riconquistata ma data alle fiamme prima di essere completamente abbandonata una volta retrocesso il confine della colonia Eritrea. Chissà se gli abitanti e gli avventori si sono mai chiesti per quale motivo dal 1938 questa piazza porta il nome di una città etiope. Proviamo noi a dare un suggerimento …

Per finire il nostro percorso in questa notte di rivelazioni, non poteva mancare una delle tante medaglie ai caduti della guerra di Etiopia, Dalmazio Birago. E’ facile riconoscerli, la data di morte cade sempre nel 1935 o ’36, il fronte della conquista coloniale fascista. La foto che lo ritrae fiero e tenebroso in volto rende immediatamente visibile il simbolo della sua squadriglia di volo, La Disperata, attiva dalla prima guerra mondiale, fucina di arditi che si distinsero per i peggiori crimini, e ovviamente presenti nell’invasione dell’Abissinia. Capitanati da niente di meno che Galeazzo Ciano, il teschio e le ossa incrociate sempre presenti nei loro stendardi, furono suoi colleghi di volo, o meglio dire suoi camerati: Roberto Farinacci, Vito Mussolini, Ettore Muti (colui che diede il nome alla banda di criminali al soldo della repubblica di Salò, quale luminoso esempio…). Ma incredibile agli occhi la lettura della motivazione con cui decorarono il soldato Birago che si legge sul sito della presidenza della Repubblica: “conservava sino all’estremo cosciente fermezza e virile coraggio invocando i nomi del Re, del Duce e dell’Italia. Cielo di Amba Alagi – Macallè, 18 novembre 1935“. Invocare il nome del Duce in punto di morte non si addice a una medaglia d’oro. Decisamente anche questa è pirite.

Siamo un po’ stanch3 di vedere celebrata la guerra da ogni parte; di trovarci ad attraversare lo spazio che ci circonda e di renderci conto che non è mai passata l’esaltazione della morte e dei suoi simboli, gli “eroi” che sacrificarono se stessi per l’odio contro gli altri paesi, contro gli altri popoli, contro gli oppressi. Siamo ancora avvolt3 da questa propaganda che ci vuole spingere a credere che le controversie internazionali hanno ragion d’essere perché motivate ancora dalle stesse antiche questioni. Oggi in Etiopia è stato commemorato Yekatit 12, una data del calendario civile etiope importante come il nostro 25 aprile ma di tutt’altra intensità: si ricorda un massacro subìto dal popolo abissino per mano degli invasori italiani fascisti. Dividere colonialismo e fascismo è davvero difficile; sfruttamento e controllo, supremazia economica e superiorità razziale sono i dispositivi ideologici e le pratiche di dominio che portano ancora avanti nel mondo i massacri e le guerre che sono sotto i nostri occhi.

Collettivo Kasciavìt Milano

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