Il corpo del Teatro, riflesso del reale

Opera Mundi
Rigoletto Experientia 

Un film musicale di Paolo Fiore Angelini
Con Raffaele Abete, Scilla Cristiano, Vladimir Stoyanov

Martedì 23 aprile 2024, ore 21, Cinema Jolly
via G. Marconi 14, Bologna
Alla presenza del regista e del cast

Opera Mundi prende spunto dalla messa in scena del Rigoletto di Giuseppe Verdi al Comunale di Bologna per narrare la vita del teatro al di là del palcoscenico. Partendo dai luoghi di chi il teatro lo fa, la narrazione deborda nelle strade e ci conduce in un viaggio emozionale in cui, in un gioco di specchi, teatro e reale s’intrecciano per restituirci una lettura ciclica in cui la fine di ogni tragedia umana, nella sua eterna iterazione gravida di spemi, prelude un nuovo inizio.

Paolo Fiore Angelini si è chiesto se un’opera ottocentesca ci parlasse ancora quando nel lontano 2002, anno di uscita nelle sale del suo Paris Dabar, per puro caso, si è ritrovato in platea ad assistere a un antepiano. Guardandosi intorno è rimasto colpito dal brulicante numero di persone al lavoro. 

Il pensiero è poi tornato spesso su questa constatazione e sulla domanda che gli ha instillato, ma tutto è rimasto sospeso fino al 2015, anno in cui Angelini l’ha condivisa con Lavinia Turra. I due, che avevamo già realizzato altri film insieme, hanno bussato alle porte e il teatro li ha invitati a entrare, osservare e documentare la rappresentazione delle dinamiche umane. Per sei mesi Paolo ha frequentato il Comunale quotidianamente ed è diventato testimone privilegiato, discreto e attento di due recite, quella dell’opera verdiana e quella delle interazioni quotidiane, interpretate senza canovaccio. 

Protagonista vivo e ferito da quella mancanza di fondi che nel 2014 ha portato l’assessore Alberto Ronchi a sostenere che «senza un milione dai privati il teatro Comunale nel 2015 chiude», il teatro e la sua gente viveva un momento difficile e doloroso, con agitazioni sindacali, tagli del personale e trasferimenti. «L’atmosfera che si respirava era pesante, molte delle persone che conoscevo e filmavo da lì a breve avrebbero lasciato quel luogo, che non era solo un posto di lavoro. Trasferiti altrove, le persone avrebbero dovuto lasciare la “città” che li aveva accolti, gli amici e colleghi di una vita. Insomma avrebbero lasciato molto della loro storia, come tanti migranti… È in quel momento “difficile” che giro il film e lo faccio come parte interna di quel corpo o almeno così mi sentito di essere», ricorda il regista.

Le idee, irrequiete scintille del processo creativo, inanellandosi hanno portato Angelini ha riformulare il suo spunto iniziale e a metterlo in relazione con la piazza, luogo in cui il teatro della città si affaccia; alla gente che lo frecquenta e a quella che non lo frequenta; alla sua storia. Piazza e teatro, pancia e cuore, spazi densi di implicazioni simboliche nella storia dell’agire umano, hanno cominciato a riecheggiare armonicamente, intessendo un affresco più ampio.

Questa intuizione comporta, conseguentemente, quella di incorporare il pubblico, non solo nel buio della sala e come puro e semplice spettatore, ma come protagonista perché ciò che il palcoscenico restituisce è il riflesso delle dinamiche socio-politiche ed emotivo-relazionali dell’umanità, dove le persone abitano come maschere che si alternano. La convinzione che l’opera parli ancora di noi germoglia e fiorisce l’idea della rappresentazione come azione politica perché il teatro, fin dall’antichità, racchiude la volontà di raccontare l’umanità che, proprio attraverso il dispositivo della rappresentazione, edifica sé stessa. 

«Durante la preparazione mi sono convinto che il teatro, in particolare la pancia di quel luogo, la sua forza, mi accoglieva perché condivideva la mia idea: raccontare il teatro e il suo valore eterno, oltre la contingenza di quel momento…»

E da queste premesse che Opera Mundi ha preso il largo e abbracciato via a via luoghi fisici e simbolici sempre più lontani. Nel film Bologna si dilata, perde i suoi confini e diventa città immaginaria e immaginifica, corpo con cuore pulsante il teatro.

«E così, se inizialmente avevo pensato di fare un documentario per studiare quel mondo per poi realizzare il film che avevo in mente, mentre ero lì ho capito che non c’era un altro film; c’era già ma in una forma diversa, più appropriata, giusta e libera dai canoni del racconto filmico consueti. Così ho realizzato un film “opera lirica” per struttura e per iperbole che, attraverso la rivisitazione di Rigoletto, diventa un’immersione negli archetipi della narrazione e che non si preoccupa delle consuetudini linguistiche cui siamo permanentemente sottoposti. Ho fatto quello che ho ritenuto giusto fare artisticamente e politicamente.»

Per la stesura del soggetto Angelini ha coinvolto Barbara Francesca Serofilli, mentre per scrittura della sceneggiatura si è aggiunto Cristian Poli. I tre hanno lavorato un anno prima di iniziare a girare, un anno in cui scrivere, riscrivere e reperire i fondi necessari a produrre il film. Oltre al Rigoletto, la parte musicale si avvale del coro delle voci bianche, anima eterna e immortale del teatro, che interpreta pezzi tratti da Macbeth, Nabucco, Il trionfo di Clelia, Parsifal, Cavalleria Rusticana e Giovanna D’Arco.

Come in un’opera, il film è strutturato in atti. Nel primo, l’inizio della preparazione del Rigoletto coincide con il risveglio del teatro in una normale mattina di lavoro, mentre fuori si manifesta il risveglio della città. In questo contesto si rappresentano la nascita, la gioia e lo stupore. La nascita, che simbolizza l’inizio del ciclo della vita, richiama alla mente la primavera e l’acqua come elemento predominante. Le immagini, a volte rallentate e altre volte rapide, mettono in evidenza il ritmo sincopato delle azioni e delle emozioni umane, mentre le musiche ci trasportano attraverso le grandi capitali europee, unite dai corsi d’acqua, che si fondono in una sola grande città.

Nel secondo atto, il Rigoletto prende vita e il teatro è immerso nell’attività frenetica, così come la giornata lavorativa. I temi affrontati riguardano il concetto di mascolinità intesa come una forza costruttiva e meravigliosa dell’umanità che si espande nel mondo, ma anche il suo lato oscuro di dominio sulla natura e sugli altri esseri viventi, il progresso, lo sfruttamento insensato delle risorse e la brama di potere. Questo periodo è associato alla gioventù, con il fuoco come elemento simbolico e l’estate come stagione. Nella realtà, le stesse tensioni che si manifestano sulla scena del Rigoletto trovano espressione, evocando i conflitti del nostro tempo attraverso immagini di devastazione industriale, sofferenza della Terra e il potere distruttivo dell’uomo. Questo crescendo di tensione si ispira alla drammaturgia verdiana per offrire una riflessione profonda sul pianeta e sull’umanità.

Nel terzo atto, irrompono le figure femminili del Rigoletto, conducendoci in una dimensione intima. L’attenzione si concentra sul femminile come elemento accogliente e materno, dove l’amore assume profondità maggiore e lo sguardo verso la realtà e gli esseri umani diventa più empatico. Questo è il momento delle relazioni tra chi lavora nel teatro e chi si incontra nella città, un momento di pausa, di condivisione del cibo, di cura reciproca, con un’attenzione particolare all’espressione artistica che permea le nostre vite, in un costante scambio osmotico tra teatro e ambiente circostante. L’elemento predominante è la terra e la stagione è l’autunno, che rappresenta la maturità come pienezza dei sentimenti, forza interiore, ma anche come momento di disillusione, amarezza e desiderio di vendetta. Le immagini dipingono paesaggi interiori e pittorici, in cui la realtà si espande nei suoi innumerevoli dettagli.

Nel quarto atto, in cui si svolge la tragedia, Rigoletto ci spinge a riflettere sulla morte e sul dramma che affligge l’umanità. In questo contesto, la dimensione diventa spirituale, offrendo una via di salvezza nella possibilità di rinascere dalle ceneri, di superare gli errori con nuove prospettive e soluzioni rivoluzionarie. I temi archetipici che permeano questo atto sono la morte, lo spirito, l’anima, e l’elemento dominante è l’aria, mentre la stagione rappresentata è l’inverno. Lo sguardo si alza verso il cielo, esplorando volti, luoghi, danze e canti mistici alla ricerca di visioni profonde. La conclusione porta a un’esplorazione finale della follia, in cui l’uomo, pur perdendo sé stesso e il senso del proprio esistere nel tempo, trova una nuova via. La rappresentazione operistica giunge al termine, le tensioni si placano, e la morte non segna la fine, ma rinnova la possibilità, sia per l’uomo che per l’arte, di rinascere. Il Rigoletto ha concluso il suo percorso, il teatro smonta il lavoro svolto e si prepara a nuove avventure.

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