Il museo si scusa con il bisnipote…

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Riceviamo e volentieri diffondiamo questa riflessione di Andrea Sestante…

Dal 27 ottobre 2023 al 25 febbraio 2024 i Musei Reali di Torino ospitano la mostra Africa. Le collezioni dimenticate. L’esposizione prevede un ricco programma e affronta anche il tema del colonialismo italiano, ad esempio con una conferenza Omaggio ad Angelo Del Boca che si è tenuta il 15 novembre.

A metà novembre, la mostra è salita agli onori della cronaca per via di una controversia raccontata da un articolo de La Stampa intitolato: In Somalia italiani schiavisti e violenti. Scivolone dei Musei Reali sul colonialismo.

Cosa è successo? Il centro della questione sembra essere un pannello che definisce Cesare Maria De Vecchi, governatore della Somalia nonché quadrumviro della marcia su Roma, come uno che “ricorreva a soprusi come punizioni corporali e lavoro coatto”.

La dicitura ha suscitato la protesta di Giorgio De Vecchi, bisnipote del leader fascista, e di Alberto Alpozzi, autore delle pubblicazioni Italia Coloniale e di libri che pretendono di contrapporsi (citiamo dal suo sito) alle “bugie coloniali” e ad “un’opera di denigrazione che non trova eguali in nessuna altra nazione”.

A fronte delle contestazioni, sembra che la direttrice del Museo Enrica Pagella si sia dichiarata disponibile a sostituire il pannello.

L’ufficio stampa del Senato (poteva stupirci?) ha colto l’occasione per commentare a caldo la vicenda: Il Museo si scusa con la famiglia del gerarca per le bugie sul colonialismo in Somalia (in seguito, il comunicato è stato rimosso: sotto lo screenshot con l’indirizzo della pagina non più disponibile).

L’articolo de La Stampa ha dato ampio spazio alle posizioni di Alpozzi, che accusa i curatori di avere utilizzato principalmente la ricerca di Angelo Del Boca, a suo parere contenente “errori e mistificazioni”, e chiede di rimandare la conferenza Omaggio a Del Boca “per coerenza e rispetto della verità storica (sic)”.

Ovviamente, la conferenza su Angelo Del Boca si è tenuta regolarmente e Cecilia Pennaccini, co-curatrice della mostra, ha risposto alle critiche in un articolo successivo sempre su La Stampa: L’attacco a Del Boca? Niente di nuovo, è la solita nostalgia del colonialismo. Nell’intervista, Pennaccini parla degli abituali tentativi della destra di confutare le documentate affermazioni di Del Boca, e si stupisce che illustri organi di stampa alimentino piccole polemiche locali.

Ora, nonostante le critiche di Alpozzi (che peraltro questo luglio ha interrotto le pubblicazioni di Italia Coloniale con un post di commiato in cui si definisce vittima del “grande reset progressista”), Del Boca è considerato un’autorità assoluta sulla storia del colonialismo italiano. Pertanto, per capire il merito della vicenda, prendiamo come riferimento il libro Italiani, Brava Gente?, capitolo Gli schiavi dell’Uebi Scebeli.

Inannzitutto, Cesare Maria De Vecchi fu responsabile dell’invasione di svariati territori della Somalia compiendo massacri, bombardamenti, esecuzioni di massa, spedizioni punitive di tipo squadrista. Il gerarca mise in atto una vera e propria politica del terrore e si guadagnò la fama di macellaio dei somali.

Dopodichè, lungo le rive del fiume Uebi Scebeli, De Vecchi creò il tristemente noto comprensorio di Genale: 18.000 ettari suddivisi in concessioni per coltivare cotone, ricino, mais, canna da zucchero, banane e incenso. La manodopera era fornita da settemila indigeni che De Vecchi definiva “masse lavoratrici buone, serie, fedeli”. Ma, in realtà, il governatore era perfettamente consapevole che tali persone erano sistematicamente sottoposte a gravissimi soprusi. Se è vero, infatti, che a livello formale esisteva un contratto agricolo per difendere i diritti dei contadini, nella sostanza i concessionari li trattavano come schiavi.

Gli abusi sono documentati dal segretario federale della Somalia, Marcello Serrazanetti che arriva nella regione nel 1929, al termine del governatorato di De Vecchi, e parla di “lavoro forzato che s’impone (…) invano cinicamente mascherato da un contratto di lavoro (…) assai peggiore della vera schiavitù”.

Grazie alla relazione di Serrazanetti emerge che:

  • I lavoratori non venivano liberamente reclutati, ma prelevati con la forza. A volte, erano legati gli uni agli altri per impedire le fughe.
  • Le ore nei campi erano anche undici o dodici.
  • Se i lavoratori non fornivano l’atteso rendimento, le concessioni usavano il sistema di dimezzare o sospendere la razione di cibo. 
  • Se qualcuno si rifiutava di lavorare o si ribellava al concessionario, le autorità coloniali lo punivano con bastonate o scudisciate. In genere, le punizioni erano amministrate dal maresciallo dei Carabinieri di Genale, ma spesso i concessionari si facevano giustizia da sè. Nei casi più gravi, i lavoratori erano condannati ad alcuni mesi di prigione. 
  • “Alcuni individui destinati al lavoro in concessione hanno preferito il suicidio, fatto rarissimo tra i somali, aprendosi il ventre con il proprio coltello”.

In conclusione, grazie al lavoro di ricerca di Del Boca, possiamo purtroppo confermare che in Somalia gli italiani furono schiavisti e violenti, per riprendere il titolo de La Stampa (altro che “scivolone”), e che sotto il governatorato di De Vecchi si ricorreva a soprusi come punizioni corporali e lavoro coatto, per citare il pannello oggetto della controversia.

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