Il colpo all’ospedale di Salò del 23 marzo 1945

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In questi giorni c’è fermento tra le fila delle Federazione, abbiamo diversi eventi e attività in vista. E un nuovo pianeta sta per entrare a far parte della coalizione. Ne parleremo più avanti, ma un indizio lo vogliamo comunque dare… Riceviamo e diramiamo volentieri un comunicato in occasione dell’anniversario di uno degli smacchi più clamorosi subiti dalla RSI…

8 maggio 1945, i funerali di Ippolito Boschi

Salò, 23 marzo 1945

“Nella notte tra il 22 e 23 marzo si compiva uno tra gli episodi più incredibili, dal punto di vista dello smacco subito dai repubblichini salodiani e forse dell’intera RSI: la liberazione ad opera di cinque compagni d’armi partigiani, del salodiano Carlo Mombelli comandante V gruppo della Perlasca, che era stato braccato e ferito a Levrange dopo una delazione, agli arresti nell’ospedale salodiano e destinato il 23 alla fucilazione in onore del Duce, nel giorno dei “fasci di combattimento”.

Protagonisti del disperato tentativo furono il salodiano Angio Zane (Diego), Marcello Vezzuli (Niko), Luigi Michelini (l’Alpino), Pelizzari Bernardino (Dino) che erano di Roè Volciano e Ippolito Boschi (Ferro) di Barghe (la cui vicenda viene raccontata nel libro Schiaffo al Duce d Silverio Corvisieri).

Il supporto organizzativo venne dato da don Angelo Bianchi di Roè Volciano e da diversi componenti della famiglia Zane di Salò, Rina Ebranati e Carolina Baldi (che nascosero e curarono i feriti partigiani), il dottor Cesari (che fornì i camici dell’ospedale), Luigi Ferretti parroco (che avvisò Mombelli), il muratore Enrico Bonetti (che murò nella casa Ebranati il corpo di Ferro per occultarlo) e altri tra cui il partigiano Renato Mapelli (Mosè).

La vicenda è nota: con la collaborazione di una guardia che doveva aiutarli, poi sostituita all’ultimo momento, i cinque sarebbero dovuti entrare all’interno dell’ospedale da una porta di servizio e liberare, contando sul fattore sorpresa, Mombelli che era ferito e non poteva camminare. La guardia sostituita però riconobbe uno dei partigiani e scoppiò un conflitto a fuoco in cui Ferro venne ferito gravemente. L’operazione continuò nella camera del Mombelli che fu comunque liberato. Due partigiani rimasero feriti e due carcerieri restarono a terra.

Il Partigiano Ferro morì di li a poco, quando il gruppo trovò rifugio a casa Ebranati accudito da Rina e Carolina, che dimostrarono tutto il loro sangue freddo e la forza di spirito in quella situazione drammatica e pericolosa.

Fu un’azione di guerra, per liberare un prigioniero destinato a fucilazione, ma i morti non erano voluti (a Salò persiste la diffamazione, nata nel ‘45, che avessero ucciso le guardie a sangue freddo potendolo evitare). Il prezzo fu pagato anche da Ferro, giovanissimo partigiano valsabbino, tra i primi a sparare di fronte alla reazione dei militi. Morì con un pensiero anche per loro “io non volevo uccidere”, che esprime la differenza con chi si è sempre compiaciuto delle proprie vittime.

È un episodio incredibile: un esempio di vera amicizia, di sentimenti e ideali.

Il salodiano Mombelli non doveva essere fucilato, la brutalità della Rsi non doveva vincere, non dopo l’eccidio di Provaglio Valsabbia nel quale gli italiani della RSI torturarono e fucilarono nove giovanissimi partigiani matteottini… compiacendosene.

Non era un’operazione da auspicarsi dal punto di vista militare, troppo pericolosa in un momento in cui servivano tutte le energie per concludere la guerra voluta dai fascisti, ma venne condotta lo stesso: nulla li avrebbe fermati.

La storia è lunga e articolata, ma oggi più che ricordarla nei dettagli vogliamo chiedere pubblicamente come mai la comunità salodiana si ostini a dimenticare queste storie, che hanno coinvolto salodiani e molti altre persone che loro malgrado ebbero il proprio destino segnato dalla RSI e alle camice nere presenti sul territorio, mentre si fa l’opposto, per altre storie, per altre vicende che di edificante non hanno nulla… C’è qualcosa che non va.

Il 23 marzo è un giorno da ricordare, come lo sono Ferro, i martiri di Provaglio Valsabbia, i partigiani e le partigiane tutte, le donne come Rina e Carolina e tutt* quell* che sul Garda, e a Salò, sembrano essere stati completamente dimenticati e rimossi.

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