Ci sono pagine della storia che lasciano senza fiato, avvincenti e intriganti come un feuilleton. Ed è per questo che abbiamo deciso di pubblicare a puntate a cadenza settimanale il lavoro inedito di Maria Chiara Cantelmo Eredi di migrazioni, figli della battaglia. Tre partigiani ebrei turchi in Emilia Romagna, che rimette in prospettiva, ancora una volta, la Resistenza quale fenomeno internazionale e meticcio.

Questa storia inizia nella luce estiva dei Giardini del Guasto a Bologna nel luglio del 2020 e si conclude circa due anni dopo sotto la luce artificiale dell’archivio del CDEC, di fianco allo spaventoso Binario 21 della Stazione centrale di Milano.
Nella distanza fisica (piuttosto breve) e ideale (immensa) che sta tra questi due luoghi si colloca un percorso di ricerca ancora più lungo che ha toccato Parma e Istanbul, per recuperare le tracce di un altro viaggio avvenuto molti decenni prima e per interrogarsi sulla sua eredità.
Di fatto è una storia che è stata scritta in treno, in aereo, in battello, grazie a domande e conversazioni che hanno coinvolto tantissime persone in posti e tempi diversi. Una storia che ha al suo vero centro la mobilità (in tutti i sensi), come cifra della scrittura e caratteristica comune di due fenomeni affini tra loro: la migrazione e l’esilio. (1)
Nella prima estate dopo la pandemia ho partecipato a una presentazione organizzata dalla libreria Modo Infoshop insieme al collettivo Resistenze in Cirenaica (2), che dal 2015 a Bologna lavora sulla memoria storica e sulla decolonizzazione della Resistenza. Quell’occasione ha acceso in me una curiosità improvvisa verso i partigiani migranti, che a sua volta ha innescato una vera e propria ossessione verso i partigiani di origine turca i quali – come avrei appreso dopo una semplice ricerca partita dal blog di Wu Ming (3) – hanno combattuto durante la Seconda Guerra mondiale in Emilia Romagna.
Devo subito chiarire che, al pari di quasi tutte le ossessioni, anche la mia ha una banale origine biografica. Ho vissuto in Turchia per alcuni anni e – se già questo non fosse bastato a giustificare una fissazione – la partecipazione alla rivolta di Gezi Park, il coinvolgimento come testimone indiretta nell’attentato di Ankara del 2015 e nel fallito golpe del 2016 (insieme a molti altri fatti che mi riguardano più da vicino), mi hanno contagiato con l’incurabile trauma collettivo che ha spinto oltre 300.000 persone ad emigrare dalla Turchia (4) nel solo anno 2019 .
Volevo sapere perché i partigiani turchi erano arrivati in Italia, anzi in Emilia Romagna, a pochi chilometri dalla città che proprio nel 2019 è diventata la mia nuova casa; quale legame avevano conservato con la Turchia; in che modo le loro rotte umane e politiche potevano incrociarsi con la mia.
Sebbene io abbia una certa confidenza con la ricerca storica, non sapevo bene da dove cominciare. L’opuscolo dedicato agli stranieri nella Resistenza in Emilia Romagna (pubblicato nel 1977 a Reggio Emilia e citato nell’articolo di Wu Ming) (5) ricorda che, tra i partigiani combattenti nel Parmense, c’erano “persino due turchi” – gli stessi a cui presumibilmente fa riferimento il monumento eretto per i partigiani stranieri a Civago di Villa (6) Minozzo, in provincia di Reggio Emilia .
Per prima cosa, quindi, ho pensato di scrivere all’ANPI di Parma (che avrei poi contattato a più riprese durante la mia ricerca) per individuare i nomi di questi due partigiani; la Segreteria mi ha indicato prontamente i nominativi emersi da un database costruito dall’Università di Bologna (7): Salomone Barbouth, nome di battaglia Turco, e Vittorio Menache, nome di battaglia Jumbo, entrambi nati ad Istanbul e sopravvissuti alla guerra.
Sul web il nome di Vittorio Menache mi ha diretto subito all’archivio digitale del CDEC –
Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (8) , dove è possibile visionare la
fototessera del partigiano Jumbo, ripresa dal suo tesserino di riconoscimento del Corpo
Volontari della Libertà del Comando Unico Parmense Ovest Cisa.
Nel malinconico ritratto fotografico a tre quarti, il primo piano in bianco e nero del partigiano Vittorio Menache (qui Vittorio H. Menaché) guardava con baffo elegante lontano dall’obiettivo del fotografo, illudendomi che ormai sapevo tutto quello che mi serviva sapere su di lui: nato il 25 gennaio 1906 nell’allora Costantinopoli, figlio di Jaco Menaché e Vida Perez; dopo l’8 settembre
1943 prende parte alla lotta di liberazione prestando servizio nella Brigata “Forni” appartenente al Comando Divisione Val Ceno ed operante nel parmense – così spiega la didascalia. (9)
I documenti conservati al CDEC fanno inoltre riferimento a un periodo di detenzione di Vittorio nelle carceri giudiziarie di Parma. (10)

Nello stesso archivio la ricerca sul secondo partigiano turco mi ha offerto invece un risultato inatteso: non c’era traccia del Salomone segnalatomi dall’ANPI di Parma, ma in compenso ho trovato un altro Barbouth di nome Davide: Davide Barbouth nasce a Istanbul il 15 aprile del 1909, figlio di Simon Barbouth e Rachele Namer. Viene internato a Ferramonti il 27 gennaio del 1941; dall’aprile all’agosto del 1943 l’ultima località d’internamento risulta essere Calcinato. Partecipa alla Resistenza come partigiano dall’11 agosto del 1944 fino al 25 aprile (11) del1945. Dopo la fine della Seconda guerra mondiale lavora come commerciante a Milano.
Se Salomone Barbouth non è presente nell’archivio del CDEC, a ben guardare però questo Davide che porta lo stesso cognome compare accanto a lui nel database dell’Università di Bologna: qui ci sono sia Salomone Turco Barbouth (nato nel 1915 ad Istanbul), sia Davide (nome di battaglia Corinto) Barbouth, entrambi figli di Simone Barbouth e Rachele Namer. Due fratelli originari della Turchia dunque, entrambi partigiani.
Ancora, Davide Barbouth viene citato in un elenco di partigiani che mi ha fornito l’UCEI (Unione delle Comunità Ebraiche Italiane) e in una lista di ebrei stranieri internati in Italia (12) durante il periodo bellico , prigioniero prima a Ferramonti e poi a Calcinato – come afferma appunto il sito del CDEC. Il suo nome si trova anche in un analogo elenco curato (13) dall’Università di Pisa , insieme a quello di un Haim Menache i cui dati anagrafici corrispondono al partigiano Vittorio Menaché (ad eccezione evidentemente del nome: a lungo ho dovuto domandarmi se Haim Menache e Vittorio/Vittorio H. Menaché fossero davvero la stessa persona…).
In ogni caso, o si sbagliavano queste fonti, o si era sbagliato l’opuscolo sui partigiani stranieri (e il monumento di Civago): i turchi che combatterono nel Parmense non erano stati due, bensì tre. Sui fratelli Barbouth c’era stata probabilmente una confusione archivistica – se davvero di fratelli si trattava… o forse era un caso di cognonimia e i due non avevano nessuna parentela?
Al di là di queste discrepanze, la traccia di Vittorio e di Davide nell’archivio del CDEC significava di certo anche un’altra cosa: non erano solo partigiani di origine turca, erano allo stesso tempo resistenti ebrei.
Dall’estate del 2020 il pensiero di Salomone Turco Barbouth, Davide Corinto Barbouth e Vittorio (Haim?) Jumbo Menaché mi ha costantemente accompagnato negli anni seguenti, diventando oggetto di una ricerca disordinata e irregolare, a tratti febbrile, più spesso silente. L’ho condotta nei ritagli di tempo strappati alle mie incombenze e preoccupazioni di ogni giorno, coinvolgendo un gran numero di città, archivi, istituti, individui. Devo dire che proprio la condivisione della mia ricerca con altre persone (il mio compagno, amici e amiche, colleghi e colleghe, studiosi e studiose, ma anche altri e altre talvolta a me quasi sconosciuti) è stata essenziale: non solo per chiedere aiuto, ma anche per fermarmi a riflettere e sforzarmi di interpretare le informazioni nella maniera più corretta.
Con le sue contraddizioni e le sue lacune, forse il caso dei tre partigiani mi ha così ossessionato perché ha messo immediatamente alle strette la studiosa indipendente con una coscienza politica che mi pareva di essere, interrogandomi sotto molteplici aspetti. Innanzitutto, la “turchità” dei protagonisti: il concetto è chiaramente problematico alla luce delle politiche assimilazioniste e dell’oppressione delle minoranze che sono state largamente praticate nella Turchia contemporanea, e che purtroppo (come è ben noto) sono ancora diffuse nella cronaca attuale.
D’altra parte, quando i tre partigiani che oggi definiamo “turchi” sono nati, la cittadinanza turca non significava niente, anzi non esisteva: Davide, Salomone e Vittorio nacquero sudditi dell’Impero ottomano, perché lo stato-nazione immaginato da Mustafa Kemal Atatürk e proclamato Repubblica turca sarebbe stato fondato solo nel 1923, diversi anni dopo le loro nascite. Potrebbe sembrare una finezza linguistica o una chiosa accademica questa, ma non lo è: nel cambio di cittadinanza – da quella ottomana a quella turca – ci fu lo stravolgimento di organizzazione politica, strutture sociali e modelli culturali, stili di vita, rapporti tra gli individui e le comunità (14); ci fu l’etichetta di una cittadinanza nuova che (come fa, d’altronde, ogni cittadinanza) identificava senza dire niente delle identità: la cittadinanza turca di Davide, Salomone e Vittorio esprimeva forse qualcosa del loro legame con la comunità ebraica di Costantinopoli a cui pure appartenevano?
L’aggettivo “turco” che io stessa utilizzo per descriverli può davvero essere il più adeguato a livello storico, politico, morale? Tanto più che i loro nomi e cognomi alludono inequivocabilmente a una tradizione millenaria quale è quella ebraica, ma allo stesso tempo sembrano rendere questa eredità sfuggente. Il doppio nome di Vittorio Haim (che in ebraico significa “vita”) Menaché ha rappresentato per me l’esempio più significativo in questo senso, con il suo passaggio tra le lingue (15) e l’ambiguità documentale che ne è derivata.
In sostanza, mi sembrava che nelle storie dei tre partigiani si fosse persa traccia delle loro origini e quindi della loro esperienza migratoria. All’inizio della mia ricerca pensavo soprattutto alla migrazione più recente – quella che li portò da Istanbul alle brigate partigiane del Parmense – e volevo ricostruirla ad ogni costo per capire come e quando questo loro viaggio si fosse trasformato in diaspora, in esilio (che io intendo entrambi come fenomeni intimamente politici).
Tuttavia, come mi ha fatto notare la sensibilità di un amico, stavo probabilmente trascurando non solo che diaspora ed esilio sono due concetti molto diversi (specialmente per l’ebraismo); ma anche che la migrazione costituisce per alcuni ebrei una cifra storica, una condizione quasi naturale del proprio agire, prima e più che essere un fatto tragico o traumatico – come traumatiche sono tantissime migrazioni che testimoniamo oggi. Per finire, se tutti questi interrogativi erano da una parte connessi al carattere storico della mia ricerca, dall’altra non potevo ignorare la convivenza di almeno tre diversi punti di vista con cui guardare alle biografie dei tre partigiani: un’istanza fortemente politica (quella da cui sono partita, della storia e decolonizzazione della Resistenza), una prospettiva religiosa e filosofica (la cultura e la storia ebraica), e una posizione puramente personale, privata (i miei interessi individuali, la mia vita in Turchia).
Il primo passo che ho sentito necessario è stato approfondire il contesto generale in cui le vicende dei tre partigiani potevano essersi collocate (perlomeno ipoteticamente), considerando la mia totale ignoranza in materia di storia ebraica così come di storia della Resistenza. In particolare, di ebrei turchi non sapevo assolutamente niente – se si esclude una serie Netflix che avevo visto di recente (16) e il vago ricordo di alcuni attentati che colpirono la comunità ebraica e la sinagoga Neve Shalom di Istanbul tra la metà degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Duemila. (17)

Una veloce ricerca mi ha portato al sito del Museo degli Ebrei turchi , intitolato alla “Fondazione 500esimo anno” e situato nel quartiere di Galata ad Istanbul, dove storicamente hanno risieduto le comunità non musulmane. Il nome della fondazione (che ha allestito il museo omonimo) celebra il cinquecentesimo anniversario della migrazione degli ebrei sefarditi nell’Impero ottomano, dopo la loro espulsione dalla penisola iberica nel XV secolo ad opera dei sovrani cattolici di Spagna.
Gli ebrei che definiamo turchi (e quindi, forse, anche i miei partigiani) originariamente parlavano ladino e si erano stabiliti in diversi territori ottomani, come Salonicco, Smirne, Costantinopoli, Rodi. Soprattutto la storia della comunità sefardita di Rodi18 mi è parsa un nodo essenziale per comprendere il legame con la storia italiana e con la Seconda Guerra Mondiale. Nel 1912 (anno di guerra italo-turca e di espansione coloniale giolittiana (19) l’isola di Rodi venne occupata dagli italiani, che nei decenni successivi vi trapiantarono l’ideologia fascista e le leggi razziali. Nel 1944 fu il console turco Selahattin Ülkümen a spendersi il più possibile per salvare gli ebrei rodioti dai campi di sterminio. (20)
Una famosa testimonianza sulla comunità dell’isola è quella della professoressa Ester Fintz
Menascé (21); suggestionata da questo cognome (che suona, in effetti, come un’altra versione
di Menaché), ho scritto al Museo ebraico di Istanbul per sapere se conservassero dei registri
anagrafici in cui compariva una famiglia Menasce o Menache. Il museo mi ha inviato – senza
specificarne la provenienza – le foto di alcune pagine redatte in italiano ed estratte da un
registro della Comunità israelitico-straniera di Costa, dove risultano un Vittorio e addirittura
un Haim Menaché tra i vari membri delle famiglie Menasse, Menassé e Menachem.
La parzialità delle informazioni presenti nelle foto non mi ha mai consentito di appurare se si
trattasse del “mio” Vittorio (è improbabile), ma questo registro anagrafico mi ha in qualche
modo confermato l’esistenza di diverse grafie per il cognome che m’interessava, suggerendo la diffusione dei due nomi Vittorio e Haim all’interno della comunità sefardita turca. Del resto, i cognomi Menahem/Menachem/Menache e Menasce/Menasche, insieme al nome Haim/Chaim, sono tristemente ricorrenti nell’elenco degli ebrei stranieri internati in Italia che ho già citato (22), sebbene neanche in questa lista ci sia traccia di un Vittorio o Haim Menaché detenuto a Parma – a dimostrazione di quanto le fonti relative a quel periodo e a quei fatti spesso risultino carenti o incongruenti.

A questo punto, dopo aver ricostruito in linea generale le origini dei tre partigiani (o, se non altro, della comunità da cui provenivano), mi sono concentrata sull’epoca e sui motivi che potevano averli portati in Italia. Negli anni 1950-60 le migrazioni delle comunità ebraiche autoctone del Mediterraneo e del Medio Oriente sono state una conseguenza del conflitto tra gli arabi e Israele (23) , ma nella prima metà del XX secolo la popolazione ebraica orientale si spostava verso l’Occidente (e verso l’Italia) soprattutto dietro la spinta di fattori economici, oltre che degli sconvolgimenti internazionali provocati dalla Prima Guerra mondiale. Senza dubbio, come ho già spiegato, uno di questi sconvolgimenti fu il crollo dell’Impero ottomano, dove gli ebrei avevano fino ad allora goduto di protezione e autonomia, al pari delle altre comunità non musulmane residenti nei territori della Sublime Porta. Come risultato di questi flussi migratori di inizio Novecento, all’epoca delle leggi razziali erano ufficialmente registrati in Italia 533 ebrei turchi, di cui oltre l’80% abitava a Milano. Il capoluogo lombardo è tuttora il cuore della comunità ebraica italiana (24) .
Cosa ne fu di questi ebrei con cittadinanza turca che risiedevano in Italia e negli altri territori occupati dai nazifascisti? Chi aveva la possibilità di farlo rimpatriò, approfittando della neutralità mantenuta dalla Turchia durante la Seconda Guerra mondiale; altri finirono nel campo di Bergen Belsen, che in realtà (ho scoperto) fu originariamente istituito proprio per albergare alcuni gruppi di ebrei destinati non ad essere uccisi, bensì ad essere rilasciati come oggetto di scambio per le loro peculiarità: era il caso, ad esempio, degli ebrei appartenenti a uno stato neutrale (come appunto i cittadini turchi) o amico della Germania. (25) Permolto tempo Bergen Belsen fu un serbatoio di alcune migliaia di “ebreidabaratto” .
Molti altri ebrei nati in Turchia, però, avevano perso la loro nazionalità dopo l’emigrazione in Europa, diventando apolidi o naturalizzandosi nei nuovi paesi. In Italia il loro destino non fu molto diverso da quello di tutti gli altri ebrei – clandestinità, confino o internamento, deportazione -, sia che fossero immigrati nella penisola nel primo dopoguerra o vi si fossero rifugiati come profughi durante l’avanzata nazista in Europa. Del resto, così come un migliaio di ebrei italiani, anche alcune decine di ebrei stranieri presero parte alla Resistenza, compiendo una difficile scelta forse più legata alla sopravvivenza che non ad un orientamento politico o al desiderio di militanza.
Nell’articolo che lo studioso Klaus Voigt ha dedicato al tema si trovano peraltro alcune notizie su Haim Menache, un venditore ambulante di Parma nato a Istanbul nel 1906: arrestato per ben due volte, venne scambiato con alcuni militari tedeschi che erano nelle mani dei partigiani e si unì alle brigate ribelli, diventando ufficiale addetto al comando; viene ricordato come “tesoriere e cuoco” (26). Anche altre fonti reperibili online riportano la vicenda di Haim (Vittorio) Menache, ebreo originario di Costantinopoli che fu internato nel campo di Scipione di Salsomaggiore il 20 novembre 1943 e liberato il 19 ottobre del 1944 grazie a uno scambio di prigionieri (27); subito dopo la sua liberazione entrò a far parte di uno dei comandi partigiani dell’Appennino parmense con il nome di Jumbo.
Curiosamente, anche sul tema della partecipazione ebraica alla Resistenza è stato il museo di Istanbul a darmi una mano, visto che (oltre ad inviarmi le foto del registro anagrafico) mi ha segnalato che nell’aprile 2022 il CDEC avrebbe presentato un portale sui Resistenti ebrei d’Italia (29). Il portale è l’esito di un progetto di ricerca avviato nel 2019 e tuttora in corso, con l’obiettivo di raccogliere e raccontare le storie dei cittadini ebrei che hanno contribuito alla Resistenza nel biennio 1943-45. Allo stato attuale nessuno dei miei tre partigiani compare in questo database (che si concentra, per cominciare, sui resistenti attivi in Campania, Lazio e Toscana), ma tra gli archivi di riferimento c’è quello a cui io stessa sono finalmente arrivata proprio pochissime settimane prima della pubblicazione del portale del CDEC.
Grazie a un prezioso suggerimento dell’Istituto Parri di Bologna, infatti, avevo appreso del fondo RICOMPART, conservato presso l’Archivio centrale di Stato a Roma. Il fondo raccoglie la documentazione prodotta dalle Commissioni che si occuparono di riconoscere le qualifiche e le ricompense ai partigiani nell’immediato dopoguerra.
Difficilmente potrei descrivere la mia emozione nel constatare che lo schedario delle Commissioni è consultabile online (30) e che si può chiedere una ricerca per corrispondenza, ricevendo (attraverso una comoda email e con un costo minimo) la riproduzione digitale dei documenti d’interesse emersi dall’archivio.
Non solo lo schedario del RICOMPART mi ha definitivamente confermato che Vittorio Jumbo Menache, Davide Corinto Barbouth e Salomone Turco Barbouth furono partigiani combattenti in Emilia Romagna, con alcune discrepanze nel complesso minime (in alcune fonti compaiono un diverso mese o anno di nascita, o titolo di studio, o giorno/mese di adesione alle brigate partigiane) . Mi ha anche rivelato l’esistenza di casi analoghi in altre regioni italiane dato che, effettuando una ricerca per luogo, risultano almeno diciassette nominativi di partigiani e partigiane (le donne sono soltanto due) nati a Costantinopoli/Istanbul.
Con ogni probabilità le loro storie riposano ancora tra gli scaffali, insieme a quelle dei molti altri uomini e donne migranti che hanno contribuito alla Resistenza in Italia.
Il 20 giugno 2022, due anni dopo la presentazione ai Giardini del Guasto da cui per me è iniziato tutto, ho ricevuto dagli archivisti del RICOMPART la copia digitale dei tre fascicoli che raccontano la storia partigiana di Davide, Salomone e Vittorio.

CONTINUA…
NOTE
1 Le affinità tra migrazione ed esilio (che pure mantengono le proprie specificità) sono argomentate dallo studioso Costantino Paonessa in questo interessante articolo sui gruppi anarchici italiani nell’Egitto di fine Ottocento: Migrazioni trans-mediterranee 1898-1906. Confini, spazi e identità nei gruppi anarchici italiani in Egitto | Acronia (mimesisjournals.com)
2 Le informazioni sulla presentazione a cui ho partecipato nel luglio 2020 sono disponibili sul sito di Resistenze in Cirenaica: Resistenze a Modo – Resistenze In Cirenaica
3 Mi riferisco in particolare a questo articolo di Wu Ming: Partigiani migranti. La Resistenza internazionalista contro il fascismo italiano. – Giap (wumingfoundation.com)
4 Riporto questo dato così com’è stato citato dal giornalista turco Murat Çınar in occasione della presentazione del suo libro Undici storie di resistenza, undici anni della Turchia (EPS Print, 2022), a cui ho partecipato nel giugno 2022 a Bologna: Nel libro di Murat Cinar la resistenza dei nuovi esuli turchi | Radio Città Fujiko (radiocittafujiko.it)
5 L’opuscolo (a cui sono arrivata tramite il blog di Wu Ming) è scaricabile a questo link: stranieri_in_emilia.pdf (cnj.it). Il riferimento ai due partigiani turchi si trova a pagina 89.
6 Per informazioni sul monumento: PARTIGIANI! Monumento ai partigiani stranieri in E-R e ai partigiani della E-R all’Estero (cnj.it)
7 Elenco nominativo dei partigiani dell’Emilia-Romagna (diviso per province): Partigiani — Storia Culture Civiltà – DISCI (unibo.it)
8 Archivio digitale del CDEC: CDEC – Centro di Documentazione Ebraica – Digital Library
9 Descrizione riportata sul sito del CDEC, nella pagina dedicata a Vittorio Menaché: Menaché, Vittorio – CDEC – Centro di Documentazione Ebraica – Digital Library
10 Quest’informazione emerge dai documenti che sono conservati nell’archivio fisico del CDEC in relazione alla vicenda di Vittorio: Menaché Vittorio – archivio – CDEC – Centro di Documentazione Ebraica – Digital Library.
11 Descrizione estratta dal sito del CDEC: Barbouth, Davide – CDEC – Centro di Documentazione Ebraica – Digital Library. Nell’archivio storico è conservata anche una dichiarazione di Davide sul riconoscimento di partigiano: Barbouth Davide – archivio – CDEC – Centro di Documentazione Ebraica – Digital Library.
12 Elenco a cura di Anna Pizzuti, disponibile a questo link: Ebrei stranieri internati in Italia durante il periodo bellico (annapizzuti.it).
13 Elenco degli Ebrei stranieri internati in Italia, a cura del Centro interdipartimentale di Studi Ebraici dell’Università di Pisa: Ebrei stranieri in Italia: 1940-1945 (unipi.it)
14 Per chi volesse approfondire la storia turca, suggerisco la lettura del libro Porta d’Oriente. Storia della Turchia dal Settecento a oggi (Donzelli, 2016) di Erik Jan Zürcher.
15 È suggestivo pensare a questo passaggio tra le lingue anche alla luce dell’assonanza (linguistica e concettuale) tra i nomi Vittorio e Haim/Vita.
16 La serie a cui faccio riferimento (del 2021), è ambientata nella Turchia degli anni Cinquanta – un periodo storico molto difficile per le minoranze non musulmane residenti nel paese – e ha come protagonista una donna ebrea turca: The Club | Sito ufficiale Netflix
17 Qui la versione inglese del sito del museo: The Quincentennial Foundation Museum of Turkish Jews – Homepage (muze500.com)
18 Sul tema suggerisco questo articolo di Sophie Nezri-Dufour: Gli ebrei di Rodi sotto l’occupazione italiana’ (archives-ouvertes.fr)
19 Questa guerra tra Italia e Impero ottomano è la stessa che, nel 1911, diede il via all’occupazione italiana in Libia: il lavoro del collettivo Resistenze in Cirenaica è nato appunto nel rione bolognese della Cirenaica, che venne edificato in quell’epoca per omaggiare l’impresa coloniale in Africa. Per saperne di più: RIC – Resistenze In Cirenaica
20 Il console turco è stato proclamato “Giusto tra le nazioni”: Ülkümen Selahattin (yadvashem.org)
21 Si legga per esempio questo articolo di Ester Fintz Menascé: Letteratura e deportazione: scrivere una storia familiare: gli ebrei italiani di Rodi (deportati.it)
22 Link nella nota 12.
23 Segnalo che il CDEC ha realizzato un’interessantissima ricerca sulle migrazioni delle comunità ebraiche nei paesi del Mediterraneo e Medio Oriente: Edoth. Ebrei del Mediterraneo e del Medio Oriente – CDEC – Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea
24 Il dato proviene da quest’articolo di Isacco Papo (pagina 116): L’immigrazione ebraica in Italia dalla Turchia, dai Balcani e dal Mediterraneo orientale nella prima metà del XX secolo_on JSTOR
25 La citazione è tratta dall’articolo di Liliana Picciotto (pagina 249): Ebrei turchi, libici e altri, deportati dall’Italia a Bergen Belsen_on JSTOR
26 Per l’articolo di Klaus Voigt: Profughi e immigrati ebrei nella Resistenza italiana_on JSTOR. La vicenda di Haim Menaché è riportata alle pagine 244-45; la fonte utilizzata dallo studioso sono i documenti di guerra conservati presso la Questura di Parma, che Voigt ha visionato grazie a Marco Mainardi, a sua volta autore di un libro sulle leggi razziste e la persecuzione degli ebrei a Parma (per i dettagli si veda la nota 40 nell’articolo di Voigt).
27 Informazione tratta dal libro di Matteo Stefanori, La Resistenza di fronte alla persecuzione degli ebrei in Italia (1943-1945), Edizioni del CDEC, 2015 (pagina 53); scaricabile a questo link: Matteo_Stefanori_Resistenza_e_Shoah_ISBN.pdf (cdec.it)
28 Jumbo viene citato a pagina 99 del libro di Gina Formiggini, Stella d’Italia. Stella di David. Gli ebrei dal Risorgimento alla Resistenza (U. Mursia & C., 1970); per il capitolo dedicato ai partigiani ebrei dell’Emilia: stella-x.pdf (storiaememoriadibologna.it)
29 Il portale è disponibile a questo link: Home page – Resistenti Ebrei (cdec.it). Si può consultare gratuitamente il database effettuando una semplice registrazione.
30 Per accedere allo schedario ((https://partigianiditalia.cultura.gov.it) è sufficiente registrarsi gratuitamente sul sito.
31 Segnalo che, invece, i nomi dei tre partigiani non risultano inseriti nel database sui partigiani del Parmense curato dall’ISREC – Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea di Parma: ISREC Parma (partigianidelparmense.it). L’ISREC non ha mai risposto alla mia richiesta di informazioni.
Davvero affascinante, grazie mille. Non vedo l’ora di leggere le altre puntate.
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Complimenti! Una ricerca davvero interessante ed unica nel suo genere. Grazie
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