All’ideologia neoliberista della resilienza preferiamo lo slancio dirompente e poetico della resistenza. In questo periodo in cui le neolingua biforcuta batte dove il cuore duole, abbiamo deciso di alzare la posta e la testa e di avviare una campagna di crowdfunding per incidere il primo disco di Cirene e aprire Melologos, un laboratorio di sperimentazione musico-letteraria .
Come scrive WM1 su Giap!, può sembrare fuori luogo aprire una campagna di questo tipo in questi giorni […] Invece è proprio qui e adesso che bisogna resistere. E resistenza, per noi, è anche fare cultura altra. Curare un immaginario altro. Incitare pensieri altri. È quello che facciamo e che continueremo a fare.
Da anni in seno a RIC, con il Bhutan Clan e non solo, lavoriamo su un formato che nelle nostre locandine abbiamo spesso definito «reading sonorizzato», ma che in realtà era altro, qualcosa di diverso e dalle multiple derive. Abbiamo tolto la polvere dal termine settecentesco melologo e coniato l’espressione «fonologia narrativa». “Disciplina” che include gli esperimenti fatti con podcast, radiodrammi in musica, novelle in Sprechgesang e le varie giunzioni di sonorità e parola che abbiamo stressato e testato nel tempo.
Nel tempo, già… Facciamo un giro sulla macchina del tempo allora…

1750: Johann Eberlin, il maestro di cappella dell’arcivescovo di Salisburgo, in cerca di una forma d’arte multipla scopre l’acqua calda accompagnando la recitazione libera di un testo a una sincronica parafrasi strumentale.
È il melologo, dal greco μέλος “melodia” e λόγος “parola”, che i suoi contemporanei liquideranno come prodotto di un pensiero estetico ingenuo che intendeva addizionare la suggestione di un’arte a quella d’un’altra.
I contemporanei passano, le intuizioni restano e le antenne captano: i poemi drammatici di Beethoven, Mendelssohn e Schumann, le ballate per declamazione con accompagnamento strumentale di Schubert, la Recitation Music di Hawley e Mackenzi, il melologo in musiche di scena di Bizet, i drammi dei compositori boemi e la Sprach–Melodie di Schonberg e Stravinskij.
Due secoli di esperimenti sotterranei, laterali, che però finiscono in un vicolo cieco. La musica prevale sulla parola ridotta a mera didascalia, fino a che il Secolo Breve diventa brevissimo, la poesia esce dai salotti e va per strada.
Il tempo ha tempo, le intuizioni perdono il filo, ma trovano altri modi di uscire dai labirinti.
Eberlin si reincarna in un beatnik a San Franciso negli anni Sessanta, si fa crescere i capelli, diventa un hippy e negli anni Settanta scopre il funk, il jazz, diventa nero, si dà allo spoken word, visita universi paralleli.
La rivoluzione non sarà trasmessa in televisione. È meglio raccontarla con una sincronica parafrasi strumentale.
Gil Scott Heron che anticipa l’Hip-Hop… Patty Smith, Allen Ginsberg e il blues di New York, William Burroughs con Kurt Cobain, William Burroughs con i Ministry, l’Emilia paranoica dei CCCP, dei Massimo Volume, degli Offlaga Disco Pax e di Stefano Tassinari, la colonna sonora delle azioni di guerriglia odonomastica bolognese… Il melologo, un pensiero estetico ingenuo… proprio come il punk.
Bologna dista 271 anni da Salisburgo e 9758 chilometri da Haight-Ashbury ma la suggestione è la stessa: addizionare un’arte all’altra: testo e musica… l’acqua calda: il reading sonorizzato, il melologo, il laboratorio di fonologia narrativa: un’officina in cui esplorare, affinare, produrre, diffondere le infinite possibilità pratiche e teoriche di un’intuizione dirompente.
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